29/03/14

Ripensare il Tabù della Monetizzazione del Debito Pubblico

Adair Turner, ex presidente della Financial Services Authority del Regno Unito, come già in passato, va contro corrente a rompere i tabù che circondano il finanziamento della spesa pubblica e del deficit dello stato. Un suo nuovo intervento su Project Syndicate a favore della monetizzazione del deficit, tradotto da Gondrano.blogspot.it




Ora che si è dibattuto fino allo sfinimento sul ritmo della riduzione [tapering] del programma della Federal Reserve degli Stati Uniti di acquisto di attività finanziarie, l’attenzione si sposterà progressivamente sulle prospettive derivanti da un incremento dei tassi di interesse.
Ma si profila anche un’altra questione: come potranno le banche centrali “uscire” definitivamente dalla politica monetaria non convenzionale e ridimensionare a livelli “normali“ i loro bilanci gonfiati dalla politica monetaria non convenzionale?


Secondo molti, deve essere affrontato un problema ancora più ampio.
La riduzione degli acquisti da parte della Federal Reserve rallenta solo la crescita del suo bilancio. La banca centrale dovrebbe ancora vendere 3.000 miliardi di dollari di titoli per ritornare nella condizione precedente la crisi.

La verità che solo raramente si ammette, tuttavia, è che non c’è alcuna necessità che le banche centrali riducano i loro bilanci.

Le banche centrali possono avere un bilancio permanentemente più ampio e, per alcuni paesi, un bilancio permanentemente maggiore sarà di aiuto per ridurre l’onere del debito pubblico.

Come mostra uno studio recente pubblicato dal Fondo Monetario Internazionale, di Carmen Reinhart and Kenneth Rogoff, le economie avanzate si trovano ad affrontare oneri derivanti dai debiti pubblici che non possono essere ridotti semplicemente con un mix di austerità, astinenza e crescita.

Però, se una banca centrale possiede i titoli del debito del suo Stato, non esiste alcuna passività netta per lo Stato stesso.
Lo Stato possiede la banca centrale, quindi il debito che ha emesso e che la banca centrale possiede è verso se stesso, e la spesa per gli interessi viene restituita al governo sotto forma dei profitti della banca centrale.
Se i titoli del debito pubblico posseduti dalla banca centrale fossero convertiti in obbligazioni perpetue che non pagano interessi, non cambierebbe nulla di sostanziale, ma diverrebbe evidente che alcuni dei titoli del debito pubblico emessi in passato non devono affatto essere rimborsati.

Questo corrisponde al gettare denaro dall’elicottero [helicopter money], a posteriori.
Nel 2003, l’allora presidente della Federal Reserve Ben Bernanke sostenne che il Giappone, trovandosi a dover affrontare la deflazione, avrebbe dovuto incrementare la spesa pubblica o ridurre le imposte, finanziando l’operazione stampando denaro [printing money] piuttosto che emettendo titoli di Stato.
Questo, disse, necessariamente avrebbe incrementato il reddito nazionale, perché l’effetto diretto di stimolo per l’economia non sarebbe stato contrastato dalle preoccupazioni relative ai futuri oneri del debito.

Il suo consiglio non fu seguito, gli ampi disavanzi del Giappone furono infatti finanziati con l’emissione di titoli di Stato. 1
I titoli posseduti dalla Banca del Giappone però possono ancora essere cancellati.
Nel caso del Giappone, questa cancellazione ridurrebbe oggi il debito pubblico di un ammontare pari a più del 40% del PIL , e di circa il 60% del PIL se attuata dopo gli acquisti di titoli programmati per il 2014.

Le obiezioni si concentrano su due rischi: le perdite della banca centrale e l’inflazione eccessiva.
Ma entrambi questi rischi possono essere evitati.

Le banche centrali hanno acquistato i titoli di Stato con denaro sul quale attualmente pagano un tasso di interesse nullo o molto basso. 
Così, man mano che i tassi di interesse salgono, le banche centrali potrebbero dover andare incontro a costi maggiori dei loro ricavi.
Le banche centrali però possono decidere di pagare un interesse nullo su una quota delle riserve che le banche commerciali possiedono presso di loro, anche quando incrementano i tassi di interesse della politica monetaria.
E possono richiedere alle banche commerciali di mantenere presso le banche centrali delle riserve, in proporzione ai loro prestiti, sulle quali non siano corrisposti interessi, prevenendo in questo modo una crescita inflazionistica del credito privato e del denaro.

Una permanente monetizzazione 3 dei debiti pubblici è senza alcun dubbio tecnicamente possibile.
Se sia desiderabile dipende dalle prospettive riguardanti l’inflazione.
Se l’inflazione dovesse ritornare ai livelli obiettivo, la monetizzazione del debito potrebbe essere inutilmente e pericolosamente di stimolo per l’economia.
La vendita dei titoli di Stato da parte della banca centrale, anche se certamente non inevitabile, potrebbe allora essere opportuna .
Ma se il pericolo è la deflazione, una permanente monetizzazione del debito può essere la politica migliore.

Prevedo che il Giappone, in effetti, monetizzerà permanentemente una parte del debito pubblico.
Dopo due decenni di bassa crescita e deflazione, il debito pubblico lordo giapponese è oggi maggiore del 240% del PIL (e maggiore del 140% del PIL in termini netti); e, con un disavanzo fiscale pari al 9,5% del PIL, l’onere del debito continua ad aumentare.
Secondo il Fondo Monetario Internazionale, per ridurre il suo debito pubblico netto all’80% del PIL entro il 2030 il Giappone dovrebbe convertire il suo attuale disavanzo primario (il saldo di bilancio che si ottiene escludendo il pagamento degli interessi sul debito pubblico) pari all’8,6% del PIL in un avanzo primario pari al 6,7% del PIL e mantenere questo avanzo con continuità fino al 2030.

Questo non accadrà, e ogni tentativo di raggiungere questo obiettivo condurrebbe il Giappone in una grave depressione.
Ma il governo non deve rimborsare i 140.000 miliardi di yen (1.400 miliardi di dollari) del suo debito che la Banca del Giappone possiede già.

La Banca del Giappone continuerà ad espandere il suo bilancio finché raggiungerà il suo obiettivo di una inflazione pari al 2%.
Una volta raggiunto questo obiettivo, il suo bilancio si potrà stabilizzare in termini nominali assoluti e ridursi leggermente in rapporto al PIL, ma la sua dimensione in termini assoluti probabilmente non si ridurrà mai - una possibilità che non deve generare alcuna preoccupazione.
E’ precisamente quello che avvenne al bilancio della Federal Reserve dopo che i suoi acquisti di titoli del governo degli Stati Uniti nel periodo della guerra e nell’immediato dopoguerra terminarono nel 1951.
Anche se si verifica una permanente monetizzazione del debito pubblico, tuttavia, la verità può essere nascosta.
Se il governo continuasse a rimborsare alla Banca del Giappone i titoli di Stato giunti a scadenza, ma i rimborsi fossero sempre compensati da nuovi acquisti di titoli di Stato da parte della banca centrale, e se la Banca del Giappone mantenesse nullo il tasso di interesse pagato sulle riserve delle banche commerciali, l’effetto netto sarebbe lo stesso di una cancellazione del debito, ma la finzione di una “normale“ attività della banca centrale potrebbe essere mantenuta.

Le banche centrali possono monetizzare il debito pubblico fingendo di non farlo.
Questa finzione può riflettere un utile tabù: se riconosciamo apertamente che la cancellazione o monetizzazione del debito pubblico è possibile, i politici potrebbero pretenderla in continuazione e in misura eccessiva, non solo quando è opportuna.
Le esperienze storiche della Germania di Weimar, o dello Zimbabwe oggi, illustrano il pericolo.

Quindi, anche quando una permanente monetizzazione del debito pubblico si verifica - come quasi certamente accadrà in Giappone e probabilmente altrove - essa rimane sempre la politica che non osa dire il suo nome.
Questa reticenza può essere utile.
Ma non deve nascondere alle banche centrali e ai governi l’ampio ventaglio degli strumenti di politica monetaria disponibili per affrontare gli attuali gravi eccessi di debito pubblico.

2 commenti:

  1. sarebbe interessante comprendere quando arrivano queste ondate inflazionistiche.
    cmq sia, di certo quando il paese è sull'orlo del fallimento (CON L'ESTERO!) e quindi monetizzare è quasi inutile.. nel senso che da Weimer all'Argentina degli anni 80 si vedranno anche iperinflazioni.

    ma esiste un mondo che il più delle volte è nella normalità.
    nel ns caso (Italia) invece siamo in deflazione.. quindi a questo punto non si capisce cosa ci si preoccupa dell'inflazione in caso di uscita!
    misteri della mafia by €URS

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  2. Sì, le ondate inflazionistiche più famose - quelle agitate a spauracchio, come Weimar o Zimbabwe - sono sempre collegate a un debito in valuta estera. Qui ne parla Randall Wray, esaminando appunto questi esempi storici e riportando anche una bibliografia in merito.

    La monetizzazione del deficit e in generale le politiche molto espansive hanno come limite proprio il vincolo della bilancia dei pagamenti, dato che crescendo il reddito aumentano le importazioni, l'aumento dei prezzi connesso alla crescita riduce le esportazioni, e quindi va tenuto in equilibrio proprio questo meccanismo qua...con la valuta flessibile, come ben sappiamo, è molto più semplice da fare!

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