04/06/13

UNA "ROAD MAP" DELLA RESISTENZA PER USCIRE DAL "VINCOLO ESTERNO" E TORNARE ALLA COSTITUZIONE

Riproponiamo anche qui la "road map", messa in luce dall'ottimo "faro" Orizzonte48, attraverso i principali ostacoli giuridici ed economici che ci ancorano al "vincolo esterno" e ci impediscono di perseguire gli obiettivi programmatici della nostra Costituzione. Grazie a 48 per  rendere sempre più chiare ed esplicite le correzioni necessarie a nuovamente rispettare e rendere efficace la Costituzione



1. AVVERTENZA: la lettura del seguente post è ampiamente agevolata da quella dei post sulla dottrina delle banche centrali indipendenti e di quello "Costituzioni, banche e Sovranità". E' da supporre che molti li abbiano già letti. Comunque rileggerseli rinfresca l'indignazione consapevole :-) (per contrappunto alla triste realtà), mentre leggerseli per la prima volta evita di dover ripetere la dimostrazione di alcuni passaggi e, ai numerosi nuovi arrivati, di "sorprendersi" del perchè le cose stiano andando così orribilmente.



2. Una delle cose che pare proprio non farsi strada nelle menti (decidenti e mediatiche) del PUD€ è che se un paese registra contemporaneamente un deficit di bilancio pubblico e un costante avanzo primario (cioè entrate superiori alle uscite, prima di dover imputare l'onere degli interessi passivi sullo stock pregresso del debito pubblico), la prima e più razionale via di riespansione del PIL (compresso in presenza di un avanzo primario che è legato esclusivamente alla bizzarra idea che occorra abbattere il debito complessivo secondo parametri avulsi dal ciclo) è la eliminazione dell'onere degli interessi passivi.

La qual cosa nelle "menti" del PUD€ è però assunta sempre sulla base del fatto che il problema sia il debito e quindi nel senso che:

- siccome l'onere "eccessivo" degli interessi passivi dipende dagli spread (questione che assume senso solo alla luce della partecipazione all'UEM);

- siccome comunque questo onere è elevato perchè è elevato lo stock del debito (dato che assume senso solo alla luce dell'accumulo di interessi determinato dall'affidamento del loro livello al mercato finanziario privato, cioè del fatidico "divorzio");

- ne consegue che devo abbassare tale stock sia agendo sul flusso che, secondo "loro", lo alimenta - cioè il deficit-indebitamento annuo- intendendo ciò come minore spesa corrente e maggior prelievo tributario (ignorando che il deficit è ormai esclusivamente dovuto...al sistema che ha consentito l'accumulo di debito-interessi) sia direttamente imputando, alla diminuzione del debito complessivo, ricavi da cessione A PRIVATI di asset dell'attivo patrimoniale pubblico ;

- la sola azione di diminuzione del deficit (cioè minori spese e maggiori entrate) avrebbe l'effetto ulteriore di diminuire non solo in sè il flusso di aumento del debito, ma anche gli spread cioè di calmierare l'onere degli interessi (da differenziale con titoli espressi nella stessa valuta ma emessi da altri e più virtuosi paesi, e quindi questione che assume senso solo nell'ambito di tale vincolo monetario);

- la (s)vendita a privati del patrimonio pubblico, poi risulterebbe decisiva per la rapidità dell'effetto di deleveraging che consentirebbe, "di liberare dal bilancio" risorse"...che sabbero comunque destinate a costituire un saldo primario funzionale all'attuale livello di interessi.

Potremmo definire questa strategia "effetto Von Hayek": cioè "limito il perimetro dello Stato" (in termini di flusso e di patrimonio) perchè lo Stato ha deciso che l'inflazione è l'unico nemico da combattere e quindi solo il vincolo di un forte indebitamento verso il settore finanziario privato, meglio se internazionale, può far passare come conveniente questa strategia.
Ovviamente, la strategia del "vincolo" nasce quando rendo indipendente la banca centrale, esentandola dalla la sottoscrizione del debito pubblico corrispondente al deficit, e, simultaneamente, (auto)impongo vincoli di cambio, rendendo la politica monetaria, in ogni suo riflesso di sistema, una rincorsa deflazionista che la "indipendenza" cristallizza in un dogma, alla luce del quale verrà letto per sempre ogni possibile interesse economico nazionale.   

3. Questo più o meno l'insieme delle "pensate" con cui si può dire da sempre - intendendo con sempre il lontano crearsi del clima politico che ha portato al divorzio tesoro-bankitalia- cercano di ammanirci le loro meritorie iniziative per "salvarci".

Ovviamente ogni tanto aggiungono la fandonia che non sono più in grado di pagare stipendi e pensioni, nascondendo che, in realtà, quello che minacciano è di non "volerlo" fare, perchè la scelta di non (poter)  indebitarsi per fare una spesa pubblica che fronteggi degli obblighi assuntisi dallo Stato, la fanno loro (col "vincolo UEM"), e la scelta di non (poter) emettere moneta, invece di indebitarsi con privati prestatori professionali, sempre loro l'hanno fatta. Notare che la vicenda dei "crediti alle imprese" è un corollario, un'applicazione politica (sempre dettata dal vincolo estero) dello stesso meccanismo. 

E quindi se dicono che non "possono" pagare è perchè ritengono giusto il "non voler" pagare, avendo costruito un sistema di leggi e di vincoli sovranazionali, e persino di norme costituzionali di revisione, che gli consentono di "volere ciò", parandosi così le spalle da ogni responsabilità che un assetto redistributivo ben orientato come questo comporta, e facendo apparire il tutto come un fatto indipendente dalla loro volontà. 
 
Come se fosse un evento "cui resisti non potest", alla stregua di un terremoto o un'alluvione. Altre occasioni, queste ultime, in cui ormai affermano che non sono in grado di pagare le spese di soccorso e ricostruzione: sempre per gli stessi identici motivi. 

Cioè non "vogliono" in base ad una scelta politica (ben lungi dal non avere alternative), ma, appunto, hanno costruito un sistema di regole presupposte, circondate persino da acclamazione mediatica, che loda la loro pretesa capacità moralizzatrice della spesa pubblica, contro corruzione, sprechi e "clientelismi" (ultimamente è tornato di moda). Alla fine dei "loro" giochi possono dire "Mannaggia ci terrei tanto a ridare un'abitazione alle splendide genti della...(segue nome di regione a caso), a recuperare il suo unico patrimonio artistico e paesaggistico, ma non ci sono soldi: abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità".

Come e perchè si sia costruito, in base a precise scelte politiche questo sistema e come abbia causato la schiavitù del debito sulle spalle degli italiani, è più estesamente detto nei post citati in apertura.

4. Ma vediamo quale sarebbe la logica serie di azioni che, seguendo regole economiche razionali e scientificamente fondate sull'osservazione dei dati registrati nei secoli e non sull'osservazione del proprio ombelico (sempre che lo trovino) di "operatori razionali", un governo dovrebbe intraprendere.

Per intaccare uno stock, che si accumula a seguito di un flusso, devo certamente limitare-arrestare quest'ultimo.

Ma se, come abbiamo visto, siamo in situazione di saldo primario, cioè realizzo effettivamente dei risparmi, un attivo, alla fine del ciclo economico pubblico, e il flusso negativo effettivo è determinato esclusivamente dall'onere degli interessi (su questo non c'è dubbio, neanche il PUD€ riesce a negarlo), non mi dovrò curare dello spread, che ovviamente esiste perchè esiste "questo" assetto valutario basato sulla dottrina pura delle BC indipendenti, ma del problema "se" e "come" esista una via effettiva di eliminazione di questo flusso.

Solo dopo che avrò risolto questo problema saprò quale patrimonio sono effettivamente in grado di gestire, con quale redditività e, per la verità prima ancora, con quali obiettivi.
E siccome sono uno Stato (democratico e fondato sul lavoro: non ci posso fare nulla se è scritto nell'art.1 Cost.), questi obiettivi li devo ritrarre dagli interessi pubblici che sono affidati alla mia cura, e quindi, come sempre, dalla Costituzione

E attenzione la "redditività" del patrimonio non è qualcosa che sia mai stata indifferente, non essendo in precedenza affidata all'arbitrarietà assoluta di uno Stato che può permettersi qualunque spreco, come ci raccontano, nascondendo la realtà anteriore al divorzio e all'euro sotto un'etichetta di totale inefficienza,. rapportata a mitici e mai realizzati "equilibri ottimali dei mercati". Ciò in quanto la stessa Costituzione obbligava e tutt'ora obbliga lo Stato, sempre e comunque a gestire, cioè ad amministrare, seguendo questi principi:

a) essere al servizio esclusivo della Nazione (art.98 Cost.), regola esplicitata per gli addetti all'"apparato", ma che vale a maggior ragione per il livello politico-istituzionale, tanto che per i relativi addetti la Costituzione non ritiene necessario enunciarlo e si limita a richiedere uno specifico giuramento di fedeltà alla Costituzione...italiana. E quindi tutti gli addetti a tutte le pubbliche funzioni sono vincolati al "servizio esclusivo" dell'interesse nazionale, costantemente e complessivamente, e non di altri interessi sovranazionali (il che sarebbe ovvio per l'art.11 Cost., ma essendosi entrati in stato "euro-sognante", ciò è stato prontamente dimenticato) e per di più settoriali (e mi riferisco alla "stabilità finanziaria" che ha molto a che vedere con quel modo di organizzare le cose a cui il PUD€ si è vincolato, e che finisce per portare sopra ad ogni altro interesse quello del settore bancario);

b) assicurare il "buon andamento" e la "imparzialità" dell'amministrazione stessa (art.97 Cost.);

Sicuramente questi principi assolutamente vincolanti (ieri e ora e sempre, finchè esisterà questa Costituzione) implicano che dovrò raggiungere:

- prima una certa efficienza di gestione, che significa massimo rendimento delle risorse patrimoniali pubbliche disponibili, compatibilmente con gli obiettivi costituzionali - non necessariamente un profitto, ma almeno evitare la creazione di passivi di gestione, quando sia evitabile con un comportamento diligente e responsabile (art.28 Cost.) che la Costituzione esige senza prefigurare che questo sia possibile solo col "vincolo esterno";

- poi la efficacia della gestione stessa, perchè mi dovrò sempre chiedere (lo impone proprio la Costituzione che è molto più logica di quanto ora vengano a dirvi, e, in ciò, certamente non superata, essendo principi elementari e razionali di ogni organizzazione), se e in che grado sto raggiungendo (efficientemente) gli obiettivi. Obiettivi che altre norme costituzionali, dette, pensate un pò, appunto, "programmatiche" indicano con (sufficiente) precisione (per chi sappia leggerle e leggerle in buona fede).

5. Insomma se in passato, ammesso che sia vero nella misura indicata dal PUD€, ci sono state delle inefficienze, alla luce di criteri di redditività, che, si badi, non fossero giustificati dalla "efficacia", cioè dall'obbligo di raggiungere gli obiettivi programmatici costituzionali, basta riportare la gestione ai criteri stabiliti nella Costituzione, ovviamente anche rafforzando e correggendo le leggi che dovrebbero realizzare "buon andamento", imparzialità", e perseguimento de "l'esclusivo interesse della Nazione".

Non abbandonando il perseguimento di tali obiettivi programmatici come se fosse impossibile ottenerli e ignorandoli, cioè rendendo irrilevanti le norme costituzionali, per sostituirli con l'idea, scritta nei trattati europei, che sia prioritario il raggiungimento della stabilità dei prezzi e della forte competizione su un libero mercato.

6. A questo punto abbiamo sufficienti elementi per dire come potrei agire se volessi rispettare e considerare efficace la Costituzione:

a) occorre riconoscere di non potere, e prima ancora di non "dover", considerare gli interessi sul debito come un onere da sopportare, non appena raggiungano un livello che non consente più di realizzare il dovere primario dello Stato di raggiungere gli obiettivi costituzionali;

b) occorre eliminare l'ostacolo principale a ciò, e quindi l'idea che il deficit annuale sia da finanziare sul libero mercato, all'ammontare di rendimenti che sono ritenuti convenienti da investitori privati, rimuovendo la banca centrale indipendente e riportandola nella sua funzione (costituzionalmente compatibile) di emittente di moneta e di tesoriere nell'esclusivo interesse della Nazione
Che è poi un obbligo che, come abbiamo visto, incombe su ogni tipo di pubblico funzionario, anche sui banchieri centrali: e ciò anche perchè non può essere lasciato a loro stabilire quale sia l'interesse della Nazione, essendo, nel complesso da bilanciare degli interessi-obiettivo sanciti dalla Costituzione, una prerogativa squisitamente politica, e non certo tecnica, che, in democrazia, solo un governo che rispecchi l'orientamento elettorale maggioritario della Nazione stessa, è idoneo ad apprezzare.

Diciamo che i banchieri centrali, nell'apprezzamento tecnico che naturalmente possono esercitare, devono  anche essere imparziali: il che può ottenersi solo se abbiano come posizione non tanto l'indipendenza, ma la assoluta fedeltà all'interesse pubblico generale, sintetizzato nell'indirizzo politico democratico, e quindi siano designati e abbiano mandati vincolati esclusivamente da referenti e regole pubblicistiche. Quindi le BC, per oggettivo e sistematico vincolo costituzionale, altrimenti non realizzabile, non possono essere ad azionariato privato, detenuto per di più dai soggetti bancari che dovrebbero "vigilare";

c) occorre effettuare questa operazione doverosa, per non prolungare ulteriormente la illegittimità costituzionale dell'assetto perseguito, eliminando senza indugio tutte le regole che a ciò si oppongono: in specie i trattati internazionali che non possono mai imporre la sospensione della Costituzione rispetto a principi fondamentali espressamente dichiarati inderogabili, quali il sostegno all'occupazione e del relativo reddito (art.4 e 36 Cost.), l'intervento pubblico nell'economia (artt. 41-47 Cost.) per evitare che questa si risolva in disutilità sociale, cioè della stragrande maggioranza della Nazione, nonchè in forme evidenti di violazione della dignità umana (artt.2 e 3 primo comma, Cost.), che è automaticamente violata, secondo la Costituzione, laddove appunto sia registrabile uno stato di disoccupazione, e sotto-occupazione, che renda impossibile rimuovere gli ostacoli che si oppongono alla partecipazione di tutti i lavoratori e lavoratrici alla vita politica, economica e sociale del Paese (art.3, comma 2, Cost.).
Notare che questa impossibilità di rimuovere gli ostacoli alla "piena partecipazione", può essere espressa proprio come "distanza dei partiti dalla società", come "disaffezione verso le istituzioni", come crisi della "democrazia": cioè è del tutto insufficiente e ipocrita credere che ciò sia effetto solo di problemi di ingegneria istituzionale come la legge elettorale, il numero dei parlamentari, la base territoriale di riferimento delle Camere, la posizione di stabilità-legittimazione del presidente del Consiglio dei ministri rispetto alla fiducia parlamentare.

7. Se questi sono i passi "pregiudiziali" da intraprendere per risolvere la crisi, ammesso che il problema del debito ne sia la causa essenziale, il che non è (ma si tratta di problemi interconnessi e che vengono in luce come un blocco nascente tutto dalla stessa impostazione contraria alla Costituzione), mi ritroverò in questa road-map (dinamica, ovviamente!) operativa:

- denuncia (cioè recesso) dei trattati UE-UEM nelle norme che riguardano l'adesione all'euro, e quindi al SEBC (sistema europeo delle banche centrali), e, comunque, del principio stesso della non  finanziabilià degli Stati da parte delle banche centrali;

- obbligo primario di sottoscrizione del debito da parte della banca centrale per una quota consistente, semmai variabile in funzione del progressivo raggiungimento di obiettivi di deficit e di bilancio debitamente stabilizzati e in funzione di condizioni cicliche che possono manifestarsi nel tempo; ma anche obbligo di sottoscrizione dei titoli pubblici da parte della banca centrale laddove questi, nella quota variabile dinamicamente fissata dal governo per esigenze cicliche e di redistribuzione del reddito nazionale sottoposte al vaglio del Parlamento,  non siano collocabili all'interesse di emissione;

- obbligo della BC di riacquisto di titoli del debito emessi in precedenza a diversi tassi di interesse, secondo misure che possono essere concordate tra banca centrale e i ministri economici, anche in questo caso seguendo un indirizzo sottoposto al vaglio del Parlamento (e considerando il riacquisto pubblico del debito in funzione della "non inflactionary loss absorbing capacity" italiana, stimabile in circa 410 miliardi degli attuali euro, alla luce delle tecniche indicate da Buiter, in proporzione alla nostra partecipazione alla BCE);

- obbligo, del tutto ovvio, della BC di riversare in conto al tesoro gli interessi e i profitti da plusvalenza realizzati nelle varie operazioni di acquisto.

8. Con queste "semplici" misure preliminari di ripristino della realtà operativa monetaria previgente alla trovata del "divorzio tesoro-bankitalia" e del "vincolo esterno", il flusso degli interessi passivi sarebbe ridotto drasticamente e lo stock del debito pubblico sarebbe in rapida diminuzione entro il medio periodo.
Certo questo pone la questione conseguenziale che, in qualche modo, sia mantenuto o meno anche il restante impianto legislativo che si è accompagnato alla indipendenza della BC e al vincolo esterno.
Un sistema che tuttavia si rivelerebbe sovradimensionato alle esigenze costituzionali e di buon andamento dei conti pubblici:, quantomeno da Maastricht in poi, infatti, esso è mirato a realizzare una misura davanzo primario che non solo, (nella nuova situazione) perderebbe di senso contabile, essendo progressivamente riversata la  gran parte dell'onere del debito nelle casse dello Stato, ma, finalmente, perseguibile in funzione anticiclica, cioè modulabile in funzione del raffreddamento o dello stimolo della domanda, a seconda delle esigenze del ciclo e restituendo allo Stato la possibilità di fare politica economica e, ovviamente, anche industriale (dato che anch'essa influisce decisivamente sulla composizione della domanda, indirizzandola verso obiettivi che tengano conto dinamicamente dell'apertura internazionale delle economie).
Quindi, dovendosi tenere conto di questa interdipendenza delle economie, non tutto il sistema legislativo dovrà essere mantenuto.
Con questo non si vuole dire che occorra buttare via tutto quanto fatto in via legislativa dopo il "divorzio", ma il nuovo assetto monetario democratico imporrebbe, sempre in coerenza con il dovere di recupero della legalità costituzionale, di eliminare il superfluo, (ovviamente con oculatezza, dettata dal dovere di perseguire l'interesse della Nazione).
Perciò, sarebbero da reintrodurre tutte quelle misure che consentivano di rispettare il principio centrale "lavoristico" - il più importante dei diritti fondamentali (non cosmetici) della nostra Costituzione.

9. In particolare:

a) poichè una componente immancabile del deficit è determinata dal saldo negativo della bilancia dei pagamenti [(G-T)= (S-I)-(X-M)], dovrò essere in grado di agire su questo elemento, consentendo gli aggiustamenti del cambio che riportino in equilibrio la stessa bdp: cosa che rafforza la soluzione di uscita dall'euro, come abbiamo visto, che già sul piano delle regole di finanziamento del deficit pubblico e della corretta politica monetaria, essendoci una imprenscindibile volontà politica (democratica), risolve in sè anche la questione del ridimensionamento del debito;

b) poichè, e non va ignorato, il sistema industriale recupera la competitività, e quindi l'occupazione, non solo in base al livello di cambio, ma anche e specialmente, nel medio e lungo periodo, per la sua produttività, che dipende sia dai consumi interni (cioè dal grado di utilizzo degli impianti esistenti), che dagli investimenti (cioè dal grado di creazione di nuovi impianti e di sostituzione-innovazione degli esistenti), sarà da riespandere la spesa pubblica e attenuare la pressione fiscale in una misura che consenta di raggiungere tali obiettivi.
E d'altra parte il folle sistema fiscale italiano è l'altra faccia della medaglia della situazione conseguente al divorzio. Simul stabunt, simul cadent.
Ciò va compiuto progessivamente ma con intensità pari a quanta parte dell'onere del debito avrò "prosciugato" e quindi liberato dalla sua incidenza sull'ammontare del deficit pubblico, che potrà riespandersi nella sua "sostanza", più che nell'ammontare assoluto (al netto dei diminuiti oneri del debito), e quindi tradursi in risparmio privato (non esclusivamente finanziario, cioè come preconizzavano  gli artt.45 e 46 Cost.) e da questo in investimenti, riorientati verso il sistema produttivo proprio dalla spesa pubblica di sostegno a consumi e investimenti;

c) per garantire questa riacquistata tendenza produttivistica degli effetti della politica fiscale e dell'impiego del risparmio, sarà naturale riconsiderare la tipologia ammessa, dalle pubbliche autorità regolatrici del settore, dei soggetti bancari: cioè sancendo una differenziazione netta tra banche commerciali e banche di investimento finanziario. In sintesi, "risalendo" alla legge bancaria del 1936, e dandole semmai piena attuazione circa l'attività, volta proprio al "buon andamento" nell'interesse della Nazione, della politica monetaria e del credito, facendo funzionare meglio e con adeguata trasparenza e accountability democratica, i comitati interministeriali che definivano gli indirizzi su cui la banca centrale dovrebbe vigilare; 

d) poichè il recupero della valuta nazionale può indubbiamente condurre a spinte inflattive, tanto meno rilevanti quanto più la produzione interna saprà riappropriarsi della domanda (correggendo, nel medio periodo, l'indebolimento di cambio necessario al riequilibrio della competitvità e quindi autocorreggendo la stessa parziale trasmissione inflattiva in ciò insita), il sostegno alla domanda dovrà essere perseguito anche in termini "reali" cioè di reddito disponibile al netto dell'inflazione, stabilendo meccanismi di indicizzazione salariale rapportati all'inflazione attesa e accortamente programmata.
Questa sarà tanto minore, come incidenza negativa - che si avverte solo a tassi ampiamente superiori all'attuale e in assenza di interventi pubblici quali quelli qui suggeriti- , quanto maggiore la ripresa produttiva, dell'occupazione e in generale, della effettiva produttività, consentita dal combinato tra flessibilità del cambio e intervento pubblico di sblocco degli investimenti e dei consumi, sblocco a sua volta connesso alla possibilità del deficit di realizzarsi in una misura che rispecchi la crescita effettiva del reddito nazionale, e non invece, come ora, l'onere degli interessi non coperti da un avanzo primario non sostenibile e comunque correlato esclusivamente alle esigenze del vincolo monetario esterno, anzichè a prudenti politiche anticicliche;

e) poichè il livello della spesa pubblica sarà riespandibile al netto dell'onere degli interessi,  limitati progressivamente nella loro incidenza causativa del deficit, (riespandibile in termini assoluti, perchè innescandosi la crescita, in percentuale al PIL essa diminuirebbe o rimarrebbe costante), l'insieme dei meccanismi di spending review assumerebbero senso nella loro reale funzione.
Che è vedere come si può spendere meglio, lasciando inalterato il livello della spesa, senza "sprechi", - una buona parte dei quali è peraltro imputabile alla stessa logica della riduzione della spesa, che non consente adeguata programmazione nel tempo e meno che mai l'acquisizione di competenze nei decidenti pubblici! La funzione della spending review, quindi, non è quella di tagliare esclusivamente e in modo lineare e prociclico la spesa stessa, per esigenze di cassa dettate dai creditori dello Stato, cioè dello stesso sistema bancario, e per di più per un debito in origine determinato da squilibri commerciali dovuti alla moneta unica.

10. Il bilancio pubblico italiano attuale, di sicuro virtuoso anche comparato con gli altri paesi europei -(eccettuata la Germania, drogata però dal controllo imperialista-commerciale dell'area euro e quindi con un vantaggio strutturato che è sicuramente delimitato dall'esistenza dell'euro stesso), che non realizzano da 20 anni avanzi primari paragonabili ai nostri (si veda come lo sviluppo francese sia stato comparativamente migliore proprio perchè non ha seguito la logica dell'avanzo primario ad ogni costo, allargando peraltro abbondantemente il debito a seguito dell'entrata nell'UEM)-, non verrebbe cambiato radicalmente solo perchè si avrebbe un cambio monetario flessibile e un deficit orientato alla spesa nell'economia reale, anzichè a corrispondere interessi ai privati detentori del debito.
Quello che si avrebbe è una diversa distribuzione del reddito nazionale, ma in presenza di una  ritrovata crescita secondo la ragionevole vocazione italiana, derivante da elementi strutturali esenti da ogni considerazione "moralistica" e razzistica (cioè secondo "l'interesse della Nazione"), spostandosi lo "squilibrio" attuale dalle rendite finanziarie e di posizione, - legate alle infauste privatizzazioni, argomento affrontabile in un secondo tempo- alle imprese manifatturiere e al lavoro dipendente.
Con grande giovamento per la crescita duratura, ma lasciando sicuramente scontenti i percettori attuali delle rendite.

10 commenti:

  1. Come al solito preciso e puntuale, e soprautto prezioso.

    Vorrei aggiungere un argomento, che anche se presente in una forma embrionale, vale forse la pena di rendere un pò più evidente ed ingombrante:

    ritengo che assieme a tutti i meccanismi previsti operanti concordemente, sarà imperativo costituire una nuova IRI, con lo scopo di costruire il nuovo, ricostruire tutto quanto è stato distrutto, smembrato, svenduto dai traditori in fascia tricolore che ci hanno governato da 30 anni a questa parte.

    Andrebbero contestualmente introdotte delle regolamentazioni, io ritengo che sarebbe il caso di farlo in costituzione nell'ambito dei principi generali, che non consentano la cessione di asset industriali strategici a nessuno ente, in nessuna congiuntura, in nessuna quota.

    Si può disquisire su cosa sia stragegico, ma a ben vedere c'è di tutto: energia, difesa (largamente intesa), siderurgica, farmaceutica, chimica, alimentare.

    Sarei felicissimo se lo stato ricominciasse a fare industria, (non "solo" politica industriale), in primissima "persona"; dopo anni di esperienza di lavoro ho oramai una collezione privata di prove che lo stato sarebbe indefinitamente più efficente, organizzato, determinato, nel raggiungere qualsiasi risultato di quanto non possa fare alcuna entità privata.

    Certamente questo argomento l'ho introdotto in maniera un pò forzata e provocatoria ... a pensarci bene neanche tanto.

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    1. Per nulla forzato. E' un argomento importante e "centrato": magari si riuscisse a ritrovare i presupposti di cultura politica diffusa (e non più o meno inconsapevolmente Von Hayek), per mettere questo tra gli obiettivi prioritari.
      La rassegna della road map implica naturalmente questa conseguenza...se si congiungessero forze democratiche dotate di senso dell'interesse generale costituzionale.
      Rammento sempre il "celebre" break-up di Kalecky su quali siano i precisi interessi che osteggiano questa impostazione (e quella della spesa pubblica tout-court):
      http://orizzonte48.blogspot.it/2013/06/visco-il-1988-lesorciccio-e-la.html

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  2. Ho letto frettolosamente la road map che come didattica elementare ha il suo valore, tuttavia il problema centrale non e' soltanto l'ignoranza dell'oligarchia dominante in termini di economia, moneta e debito pubblico (assmilato a quello del buon padre di famiglia per far rincretinire tutti oltre che loro stessi) ma l'esercizio di potere dell'oligarchia stessa.

    Il problema e' politico e di potere, l'oligarchia in modo eversivo ha preso decisioni che hanno unicamente generato vantaggi per loro stessi e davanti a ogni diastro che combinano reagiscono con danni e vessazione addizionali per gli altri.

    Parlare di democrazia in astratto non serve molto, e i partiti attuali sono servili degli interessi oligarchici.
    Le forze democratiche devono rendersi conto che necessitano di un loro punto di vista e della consapevolezza di rappresentari interessi (della maggior parte della popolazione) nettamente conflittuali e in guerra con i miopi interessi oligarchici.
    Enrico

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    1. Enrico, ricordare i principi programmatici della nostra Costituzione non è parlare di democrazia "in astratto" (se ti riferisci a questo), è rinfrescare la memoria, cosa fondamentale e importantissima perché non molti decenni fa la gente ha combattuto ed ha sacrificato anche la vita per questi principi, che sono stati riconosciuti e garantiti nella Costituzione formale, la quale dunque deve restare un faro nella tempesta, un punto di riferimento per i naviganti sperduti...

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    2. Invero non pensavo tanto alla costituzione formale quando ho usato il valore "astratto" ma a una certa difficolta' a individuare gli interessi in conflitto e l'azione eversiva portata avanti da decenni dall' oligarchia. Non e' dai maggiordomi attuali che hanno combinato solo disastri (per gli altri, loro si sono arricchiti per i servigi resi) che ci si puo' attendere un cambiamento di rotta. Per di piu' sono somari e ignoranti come scarpe.
      Come giustamente osservi la costituzione formale e' costata sangue, l'oligarchia che aveva messo al potere il pagliaccio Mussolini dovette abbassare un poco la cresta, anche se rapidamente si convertirono a campioni dell' antifascismo e operarono in tutti i modi per rendere solo formale (e non reale) la costituzione stessa e a demolire i partiti autenticamente popolari che rivendicavano l'esercizio del potere. (Non a caso Craxi parlo' di poteri irresponsabili che pretendono di comandare, farsi i propri interessi e distribuire etichette fasulle di democrazia).
      Gli stessi enormi poteri in pratica concessi al presidente della repubblica e lo svuotamento del ruolo del presidente del consiglio con il favorire la baraonda dimostrano come l'oligarchia in qualche modo si tutelo'.
      Le politiche del dopoguerra sono il frutto di rapporti di forza andati persi che devono essere recuperati come opportuanemnte l'autore del testo osserva nella replica sopra.
      Il chiaro conoscimento del funzionamento del capitalismo deve essere associato al riconoscimento degli interessi conflittuali e alla loro effettiva rappresentanza. Come il grande M. Kalecky sapeva perfettamente.
      L'oligarchia rapace e ignorante affossa capitalismo e democrazia allo stesso tempo.
      E

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  3. Grazie per questo post lucido e con dei punti di politica economica chiari e pragmatici.

    Se posso permettermi un commento, vorrei esprimere anche io qualche dubbio sul richiamo alla Costituzione per l'attuazione di queste politiche. Anche io sono della visione che negare, tramite la minacciata riforma, la possibilità per lo Stato di andare in deficit sia quanto meno inconstituzionale.

    Tuttavia, nel 2013 dobbiamo chiederci la valenza non solo giuridica, ma anche euristica delle costituzioni nazionali. Qualsiasi programma di 'ritorno al pubblico' (come anche io auspico) dovrà fare i conti con un groviglio inestricabile di relazioni politiche, strategiche e giuridiche tra lo Stato italiano e la pletora di entità internazionali che ci governano.

    Per farti un esempio tra i tanti: per chi, come noi, non è del PUD€, tornare alla flessibilità del cambio non vuol dire abbandonare l'UE e tutto il suo regime istituzionale e giuridico. Ora, la normativa UE è prevalente su quella italiana (tranne che per alcune parti minime della Costituzione); se così è, molte di quelle politiche che tu giustamente proponi sarebbero contro la normativa UE (concorrenza, aiuti di stato etc...). Cosa fare? La Costituzione qui non aiuta.

    Questo poi è solo uno degli innumerevoli esempi che si possono fare (commercio e investimenti internazionali, regolamentazione finanziaria, anti terrorismo, etc...).

    Il discorso, poi, lo puoi estendere da quello Costituzional-giurico a quello politico e geopolitico. Se noi attuassimo tout court delle politiche del genere, le conseguenze a livello diplomatico ed internazionale sarebbero ingenti. Di fatto, si sta proponendo un riposizionamento dell'Italia sullo scacchiere internazionale.

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    1. Caro Dave, attenzione.
      Mi rendo conto che parli senza conoscere il discorso, compiuto su orizzonte48, di recupero di una corretta interpretazione costituzionale: tra l'altro in linea con gli orientamenti ancora attuali della Corte costituzionale, del tutto intatti, sebbene mai occasionati, purtroppo, dalla INERTE (e non a caso: c'è il PUDE saldamente al comando) reazione italiana ai vincoli dei trattati.
      http://orizzonte48.blogspot.it/2012/12/da-orizzonte48-emerge-lumanesimo48.html

      A differenza di quanto tenda a fare le Germania, con la sua propria corte costituzionale.

      Sarebbe persino troppo lungo elencare i post che compongono questo discorso tecnico-giuridico:
      http://orizzonte48.blogspot.it/2013/02/focus-3-costituzione-trattato-e.html (qui un primo quadro riassuntivo di un certo numero di links da considerare)
      http://orizzonte48.blogspot.it/2012/12/alcuni-punti-fermi-ipotesi-frattalica-e.html
      http://orizzonte48.blogspot.it/2013/05/le-vere-cause-della-svendita-del-made.html
      http://orizzonte48.blogspot.it/2013/05/la-grande-trappola-delleuro-la-germania.html (tra l'altro pubblicato anche su questo blog).
      Mi fermo qui, per brevità.

      Affermare che la normativa UE è prevalente su quella italiana , tranne alcune parti "minime" (!) della Costituzione, è esattamente la linea fondante del PUDE. Rompere questa "precomprensione" distorsiva è invece avversarlo, sulla base della corretta interpretazione della Costituzione.
      Anche e più che mai in chiave di relazioni internazionali.
      La Costituzione aiuta eccome; basta conoscere ciò che veramente con essa si è inteso costituire a livello DI MODELLO INDEROGABILE da "vincoli esterni".

      La teoria della prevalenza del diritto europeo è tutta da rivedere, alla luce del mutamento subito da quest'ultimo a seguito di Atto Unico e Maastricht: che pongono problemi mai risolti, per una precisa volontà politica manipolativa, a livello costituzionale quindi di democrazia vivente.

      Basti dire che tutta la Costituzione "economica", e quindi anche la versione dei trattati, vanno necessariamente lette all'interno una scala di valori costituzionale in assenza dei quali non ha senso considerare le stesse norme programmatiche: cioè alla luce degli artt.1, 3 e 4, i quali, a loro volta (ma occorre considerare il percorso integrale svolto nei post linkati) gettano luce sul vero "limite" degli artt.11 e 139 Cost.

      Non considerare ciò significa "perdere" in partenza e rinunciare a controbattere le inaccettabili imprecisioni tecnico-costituzionali propagandate dal PUDE
      http://orizzonte48.blogspot.it/2013/03/il-ritorno-allo-stato-meramente.html
      http://orizzonte48.blogspot.it/2013/01/costituzioni-democratiche-e.html

      Sul "riposizionamento": il "timore" ad esso connesso, (chissà cosa succederebbe) non solo non appare affliggere la Germania, ma è anch'esso la parte più insidiosa della propaganda PUDE.
      Il colonialismo è la prospettiva attuale: non c'è scelta al "riposizionamento" perchè è una elementare "urgenza e necessità" di salvezza democratica.
      Che poi questo sia difficile e cosparso di nuove insidie, non è una buona ragione per rassegnarsi all'annichilimento progressivo e accelerato attuale.
      Resistere non è un fatto astratto, concettuale e scontato, ma un impegno concreto e richiede passione civile e amore per la democrazia. Per denunciare sempre e comunque tutto ciò che possa sottrarcela:
      http://orizzonte48.blogspot.it/2013/03/oltre-il-pud-2-oil-and-finance-thats-all.html

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    2. Caro Quarantotto,

      Grazie mille per la tua risposta e prometto che mi dedicherò alla lettura dei tuoi post. Sono anche io della visione di una interpretazione integrale della Costituzione in quanto atto supremo di una comunita politica. Tuttavia, io volevo solo riportare lo status quo secondo lo schema generale dir. internazionale di competenza UE> dir. UE> diritto nazionale.

      Del resto l'ultimo organo garante, la Corte Costituzionale, non può giudicare sull'incostituzionalità delle normative UE ed internazionali, se non per via indiretta. La qual cosa non è di grande efficacia. Di qui il mio scetticismo sulla valenza 'euristica' della Costituzione nel mondo contemporaneo.

      Certamente, noi giuristi abbiamo il dovere di proporre modelli migliori sia per lo stato delle cose che per il futuro. Allora, sì, visione anti-PUD€ e rivisitazione della valenza della Costituzione si devono muovere all'unisono. Tuttavia questo avverrà ad un costo (politico e giuridico, se esiste un costo giuridico) di cui bisogna tener conto.



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  4. Ad es. ci potremmo volgere nella direzione e verso battuto da USA e Giappone.
    Ahi fiera compagnia!

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  5. Bello il post soprattutto nella prima parte dove dici che le presunte regole ce le siamo imposti da soli, e apprezzo la sequenza di azioni da fare che per altro condivido e tra parentesi ne sai molto e ho molto apprezzato nei punti in cui per seguirti ho dovuto documentarmi però c'è un però e mi piacerebbe discutere con te almeno su 2 fatti.
    il primo è che se il sistema ha cercato di darsi certe regole che poi ha preso come limiti c'era un motivo e c'è ancora e ti inviterei a tenerne conto nel ragionamento.. ad esempio il debito pubblico è comunque un problema anche se finanziarlo tramite banca centrale è una cosa che va fatta immediatamente e
    2 che visto che citi la costituzione devi tener conto anche dell'articolo 11.. L'Italia non straccia i trattati internazionali perche ripudia la guerra e può decidere di autolimitare la sua sovranità nel tentativo di favorire la pace

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