18/01/13

Paolo Manasse: La Crisi dell'Eurozona Non è Finita

In un articolo su Voxeu il professore di Macroeconomia e Politica Economica Internazionale all'Università di Bologna Paolo Manasse afferma che la crisi dell'eurozona non è affatto finita e anzi volge al peggio: a differenza degli USA, l'eurozona rimane bloccata in uno shock di tipo permanente e man mano che ad ogni trimestre di stagnazione le tensioni aumentano, le prospettive di soluzione sembrano allontanarsi sempre di più. 



 
Così Manasse: 
 
Nonostante l'apparente calma sui mercati finanziari, non bisogna farsi illusioni su una prossima fine della tempesta. Infatti, sembra che siamo ancora nell'occhio del ciclone.
Quando Mario Draghi ha giurato che l'euro era un progetto irreversibile, è tornata una certa calma. Eppure, le forze che in futuro potrebbero portare a un crollo della zona euro non solo non sono sotto controllo, ma si stanno rafforzando. In parte a causa di errori politici gravi commessi dai leader europei, gli "shock asimmetrici" sono cresciuti dall'inizio della crisi, e la zona euro ancora manca di strumenti credibili per affrontarli ex post'.

 

Manasse svolge la sua analisi confrontando gli Stati Uniti e la zona euro: come sono stati colpiti nel livello di produzione e occupazione, e come hanno risposto alla recente crisi finanziaria.


"Il grafico seguente confronta il PIL degli Stati Uniti (in rosso) con il PIL dell'Eurozona (in blu) dal 2006 al 2013 (cioè, secondo le previsioni del FMI). Ho normalizzato a 100 i valori iniziali al fine di semplificare il confronto. Occorre ricordare alcuni punti:

La recessione negli Stati Uniti inizia prima che nella zona euro ((2007/2008);

La crisi finanziaria ha avuto origine negli Stati Uniti e poi si è diffusa nell'eurozona e altrove.

Nonostante l'origine della crisi, l'impatto maggiore sul calo della produzione si è avuto nella zona euro;

L'economia degli Stati Uniti ha iniziato la ripresa dal 2009, mentre nell'Eurozona la ripresa è stata di breve durata, e nel 2010 si è appiattita di nuovo.

Di conseguenza, il PIL degli Stati Uniti nel 2012 è superiore del 7% rispetto al suo livello del 2006, mentre il livello di produzione della zona euro nel 2012 supera quello del 2006 solo del 2%.



Il confronto sul mercato del lavoro racconta una storia interessante: il grafico qui sotto descrive il tasso di disoccupazione negli Stati Uniti (linea blu) e nella zona euro (linea rossa).



In primo luogo, si noti che l'aumento della disoccupazione negli Stati Uniti è molto maggiore che nella zona euro, nonostante che quest'ultima sperimenti un maggior calo della produzione. Il dato è pertanto coerente con la presenza di labour hoarding1 nell'Eurozona piuttosto che negli Stati Uniti, probabilmente a causa dei più alti costi di licenziamento nella zona euro. 
 
In secondo luogo, dopo il forte aumento del tasso di disoccupazione nel 2007-08, il tasso degli Stati Uniti inizia a diminuire nel 2010, anche se c'è un piccolo aumento nel 2012.
 
Al contrario, il tasso di disoccupazione in Europa aumenta in maniera relativamente più morbida a partire dal 2008, ma non mostra alcun segno di inversione."

Questi dati mostrano che la crisi globale nell'eurozona si manifesta come uno shock quasi permanente, mentre per gli Stati Uniti ha un carattere transitorio. Come mai? Manasse guarda alle politiche fiscali e monetarie adottate dagli USA e dall'Europa:


"Uno sguardo alle politiche fiscali e monetarie nelle due sponde dell'oceano Atlantico rivela differenze significative. Il grafico seguente mostra il rapporto deficit/Pil negli Stati Uniti e nella zona euro. Sappiamo che questo rapporto non dovrebbe essere interpretato come l'indice di uno stimolo fiscale discrezionale, ma è comunque un dato interessante. Le differenze sono notevoli:

L'aumento del rapporto deficit / PIL negli Stati Uniti - un tuffo verso il basso nella linea rossa - è molto più pronunciato che nella zona euro: 12 contro cinque punti percentuali del PIL dal massimo al minimo;

Questo nonostante il fatto che l'Europa abbia attraversato una recessione più profonda, che riduce il PIL e aumenta il deficit a causa degli stabilizzatori automatici;

La posizione 'espansiva' nella zona euro è di breve durata, e nel 2009 già si inverte, mentre il rapporto deficit / PIL negli Stati Uniti migliora solo a partire dal 2010;

Di conseguenza il rapporto debito/PIL, che era approssimativamente al 70% sia negli Stati Uniti che nell'eurozona, dal 2007 inizia a divergere, con un incremento molto più grande negli Stati Uniti (si veda il Grafico 4).


Anche nella politica monetaria si vedono delle forti differenze:



"Il grafico seguente (Gros et al. 2011) confronta gli acquisti di titoli in relazione al PIL per la Federal Reserve (blu), la Banca d'Inghilterra (rosso) e la BCE (verde). Anche se basarsi su un unico indicatore per misurare la politica monetaria può non essere del tutto appropriato, le differenze sono, ancora una volta, significative:

La dimensione degli interventi della BCE è di circa un quinto di quelli della Fed, circa il 4% del PIL, rispetto a oltre il 20%."


Tutto questo suggerisce che i problemi della zona euro sono in gran parte autoprodotti. Tuttavia, per capire se l'euro è veramente a rischio, questo ancora non basta. Per comprendere a fondo la situazione, bisogna guardare alle "asimmetrie":

"Al di là delle risposte aggregate negli Stati Uniti e nella zona euro, la crisi ha accentuato le "asimmetrie" in Europa. Si confronti per esempio l'Italia (in rosso) con la Germania (in blu) nel grafico qui sotto. Fatti a 100 i loro livelli di PIL nel 2006, osserviamo le divergenze:



Nel 2012, il PIL in Italia è del 6% sotto il suo livello del 2006, mentre in Germania è dell'8% sopra il livello del 2006, una differenza molto maggiore di quanto abbiamo visto tra gli Stati Uniti e la zona euro nel suo complesso.

Manasse costruisce un indice sintetico della dispersione del PIL, per ogni anno dal 2006 al 2011, sia in Europa che tra gli Stati USA:



"Quello che vediamo è sorprendente:

C'è stato un notevole incremento dell'indice di dispersione in Europa (vale a dire tra il PIL dei paesi della zona euro). Tra il 2007 e il 2012 l'indice è cresciuto di oltre il 2%.
La dispersione tra gli Stati USA è effettivamente rientrata tra il 2007 e il 2011, a quasi l'1%.

Ci sono poche spiegazioni possibili:

Shock asimmetrici.

A differenza degli Stati Uniti, i paesi dell'Eurozona sono stati fortemente colpiti da shock specifici per paese: squilibri di bilancio e delle partite correnti in Grecia, boom del credito e crisi del settore bancario in Irlanda e in Spagna, e crescita della produttività in Portogallo e in Italia.

Risposte politiche diverse.

A differenza degli Stati Uniti, nella zona euro l'inasprimento fiscale è stato più forte proprio nei paesi che hanno sofferto dei più grandi shock negativi.

Istituzioni diverse.

A differenza degli Stati Uniti, i paesi della zona euro hanno mercati del lavoro separati con diversi gradi di tutela del lavoro, sistemi diversi di contrattazione salariale, diversi sistemi bancari e di welfare. Questo influenza la risposta delle economie agli shock (questa è una vecchia lunga storia: vedi Blanchard 2000).

Ed ecco le conclusioni:

"La risposta politica dell'Eurozona alla crisi, di stretta fiscale e rafforzamento dei vincoli in materia di prestiti per prevenire l'azzardo morale nei paesi membri, non solo sta avendo un impatto recessivo sulla zona euro, ma porta anche ad aggravare il 'peccato originale' della moneta unica: l'asimmetria.

Così, in un contesto di scarsa mobilità internazionale del lavoro e di mancanza di flessibilità dei salari e dei prezzi in alcuni paesi della zona euro, la mancanza di un regime di trasferimento / assicurazione operativo ex-post diventa ancora più grave.

Il problema è molto serio. Un sistema centralizzato di trasferimenti 'ex-post' è necessario, ma non sembra essere politicamente praticabile. La procedura adottata degli Squilibri Macroeconomici, un semplice dispositivo di monitoraggio 'ex-ante' volto a rilevare le "asimmetrie", è probabilmente anche controproducente. Invece di trasferire risorse ai paesi colpiti dagli shock, li penalizza.
Le prospettive a lungo termine per la sopravvivenza dell'euro non solo non stanno migliorando, ma in realtà vanno sempre peggio.




Nota1  Il labour hoarding è definito come il volume di occupazione che viene trattenuto dalle imprese in eccesso rispetto ai loro fabbisogni di produzione

13 commenti:

  1. L'uomo del Monte dice che stiamo per vedere una luce in fondo al tunnel della crisi.. ma è una luce oppure sono i fari di un treno che ci viene incontro ??

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  2. Ma Bankitalia sparge ottimismo:

    "Sono molto migliorate le condizioni dei mercati finanziari, il cui deterioramento aveva finora rappresentato un ostacolo alla ripresa ciclica nell'area. I rendimenti dei titoli di Stato sono scesi nei paesi maggiormente interessati dalle tensioni; gli afflussi di capitali verso alcune delle economie più colpite dalla crisi del debito sovrano sono ripresi. I saldi sul sistema dei pagamenti TARGET2, che riflettono gli squilibri nei flussi di capitali privati nei paesi dell'area, hanno mostrato segni di aggiustamento."

    A chi credere?

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    1. Al 100% all'articolo di Paolo Manasse. La BCE ha messo un cerottone sulle distorsioni del sistema, con l'affermazione di essere pronta a sostegni illimitati ("condizionati", a che cosa non si è ancora capito) ai debiti pubblici dei vari paesi. Da qui nasce il calo dello spread e la (modesta) inversione dei flussi di capitali. Anche perchè i mercati non "sfidano" la BCE perchè convinti che fino alle loro elezioni i tedeschi non permetteranno turbative.
      Intanto però la depressione del Sud Europa prosegue e si aggrava... vedi Evans Pritchard. La situazione rimane instabile più che mai.

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    2. Idem come sopra.
      Riporto solo questa frase dell'articolo di Seminerio, che raccomando di leggere, perché rende bene l'idea:
      "un’ossimorica quiete euforica regna in Eurozona, mentre i fondamentali marciscono..."
      i mercati devono pur vendere e comprare, andare avanti a bolle, prima della resa dei conti che si avvicina, al varco delle elezioni tedesche...

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    3. L'ottimo Seminerio recentemente ha coniato una espressione quanto mai azzeccata per descrivere il momento attuale, definito come (cito) atmosfera surreale.

      Ed ha perfettamente ragione.

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    4. Grazie per la segnalazione dell'articolo del Seminerio che fornisce un sunto decisamente più aderente a quanto effettivamente detto da Bankitalia.

      La frase da me riportta in mio commento precedente e copio-incollata da altro sito web è solo un passaggio del Bollettino mensile della Banca ed induce a conclusioni errate.

      Mi scuso coi tuoi lettori.

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  3. Dagli ultimi dati le esportazioni mi sembra sono cresciute del 3,6% e le importazioni sono calate di molto ma non mi ricordo di quanto..
    Poi bisogna vedere cosa si intende e sopratutto a quali paesi è riferito quel "..mostrato segni di aggiustamento";
    se prima eravamo a -100 ed ora ci siamo "aggiustati" ad un -99, anche se siamo migliorati, non è che ce ne facciamo poi molto!

    Comunque tutto torna, non potendo svalutare la moneta stiamo svalutando il nostro lavoro e la nostra società e per questo siamo più competitivi.. ma, per quanto mi sforzi, non riesco a vederlo come una cosa buona :-(

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  4. Grazie Vocidallestero, un ottimo articolo. Molto, troppo chiaro. Non dà adito a molte speranze, se non che la dissoluzione, ancorché già in ritardo, arrivi prima che non rimanga più nulla su cui ricostruire.

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  5. L'articolo mette ancora una volta e con dati dettagliati in evidenza quello che purtroppo tutti vediamo quotidianamente coi nosti occhi. Gli unici ch enon vogliono vedere né sentir ragione sono i difensori ad oltranza dell'euro. Errare é umano, perseverare diabolico. Ma purtroppoo non si vede via d'uscita intelligente, l'Europa deve probabilmente prima sfasciarsi come unione per potersi liberare dall'euro. La delusione viene anche dai Paesi che più avrebbero da guadagnare a uscire per primi dalla moneta unica e invece insistono a rimanerci. Syriza sarebbe sulla buona strada se nTsipras, il suo leader, avesse il coraggio di fare l'ultimo passo e aggiungere l'uscita dall'euro nel suo programma. Della altri sinistra italiana meglio non parlarne (tanto no esiste). Ma guardando al futuro prossimo, quando il 1. luglo la Croazia entrerà nell'Unione Europea,gli attuali Stati ci saranno ancora tutti? Temo di no.

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    1. Ci saranno in che senso? Staranno ancora dentro la trappola?...Spero di no...ma Temo di sì!

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  6. ho capito ma per il popolino in poche parole la abbiamo o NO una soluzione senza stare troppo ad analizzare grafici ??

    PS: pur essendo laureato in economia io non la vedo sta soluzione

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  7. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

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  8. Purtroppo sembra che il "Manasse/che parladall'estero" si esprima più liberamente del "Manasse/che parladall'interno". C'è una serie di commenti al suo post Todos Caballeros, dove il prof è chiamato a render conto della sua plateale (c'è trasparenza nella rete, prof) incoerenza. Per ora, le spiegazioni sono fumose...

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