11/10/12

Repliche di Zezza e Borghi alle obiezioni sull’uscita dall’euro

Riprendo dal sito di TRUCCOFINANZA (trucco sì, ma senza inganno!)  un ottimo lavoro, che merita la massima diffusione, sugli scenari di un'uscita dall'euro  analizzati col contributo di due autorevoli economisti come Gennaro Zezza e Claudio Borghi



A fine agosto ho pubblicato il “rapporto Trucco”, nel quale si disegnavano gli scenari secondo me probabili in caso di uscita dell’Italia dall’euro (soluzione da me auspicata) e di permanenza nella moneta unica.

Colgo l’occasione per ringraziare l’onorevole Giulio Tremonti per il suo interessamento (!) e per aver risposto alla mia mail. Sebbene egli non sia schierato per l’uscita dell’Italia dall’euro per lo meno fa degli ottimi ragionamenti estranei alla stragrande maggioranza dei politici e non posso che augurargli “in bocca al lupo” con la sua nuova avventura politica (ed auspicare che possa presto convertirsi a posizioni apertamente anti-euro). Ma torniamo al mio “manifesto”… Nella moltitudine di commenti (di cui mi sono rallegrato) si è distinto anche qualche critico, come era giusto che fosse. Io ho spiegato che una volta raccolte tutte le critiche avrei replicato, e benché mi ci sia voluto del tempo alla fine mi accingo a farlo. La verità è che per questo compito ingrato ho ritenuto fosse necessaria la credibilità di professori di economia con spessore accademico, anziché la mia modesta caratura finanziaria, poiché le obiezioni dei commentatori altro non sono che le obiezioni di opinion leaders molto convincenti che andavano dunque indirizzate con la massima efficiacia. Lo stesso eccellente studente di economia che scrive in giro per blog di politica economica con il nickname Istwine, si è tirato indietro dal compito che gli ho offerto di rispondere al posto mio, adducendo la sua mancanza di credibilità come ragione (ma prevedo che tra 10 anni sarà anche lui un bravo prof!). 




A forza di rompere loro le scatole ho ottenuto le risposte dell’esimio economista e professore universitario Gennaro Zezza (pubblicate anche qui nel suo blog), nonché l’autorizzazione a citare lo studio che indirizza alcuni di  questi punti dell’altrettanto esimio collega Claudio Borghi. Due economisti genuinamente anti-euro! A loro la parola dunque.

Prima obiezione: LA SVALUTAZIONE (io stimavo una svalutazione immediata del 25-30% max nel mio rapporto)

“Una lettura veloce e subito delle aree oscure, opache. Svalutazione 25%-30%…e perchè non 50% o 70% …”

Risponde Zezza:

Una svalutazione del 25% e’ sufficiente a ripristinare il differenziale di competitività di prezzo con la Germania.

Risponde Borghi:

E’ possibile che la svalutazione non sia macroscopica come si potrebbe pensare per i seguenti motivi. La nuova valuta si troverebbe dopo la sua creazione ad oscillare liberamente nei confronti delle altre valute. Se si prende come esempio l’uscita della lira dal sistema monetario Europeo a seguito dell’attacco speculativo del 1992 si registrò una svalutazione di circa il 20% verso le altre valute della futura Eurozona, tuttavia si trattò di un evento molto rapido e non anticipato dalla maggior parte delle famiglie Italiane: inoltre la situazione economica di molti altri stati era, all’epoca, decisamente migliore di quella italiana e inoltre erano appena state dissipate tutte le riserve in valuta di Bankitalia nel vano tentativo di mantenere la Lira nell’ambito dei cambi pressoché fissi preesistenti. Nel caso attuale invece il deflusso di capitali e la svalutazione conseguente di molti asset finanziari è già in uno stato piuttosto avanzato, quindi avrebbe effetti inferiori, ulteriormente mitigati dal fatto che i problemi indotti dalla crisi di fiducia stanno affliggendo tutti i paesi dell’area Euro, non solo l’Italia.

  • E per chi vuole fare i conti al centesimo (anzi al miliardo…) insieme a Borghi: 

    Consideriamo infatti la massa della ricchezza degli italiani: si tratta di 8.600 miliardi Eur di ricchezza netta dopo aver dedotto 900 miliardi di passività (mutui, prestiti). Consideriamo per comodità la ricchezza lorda, tenuto presente che si tratta ai nostri fini di un valore in ecces-so del reale, dato che titoli vincolati,perché ad esempio offerti in garanzia di prestiti, non sono smobilizzabili. Di tale ricchezza lorda circa 5.900 sono attività reali per le quali il problema non si po-ne. Rimangono quindi 3.600 euro di attività finanziarie: di queste il 21% è costituito da crediti commerciali e da riserve tecniche delle assicurazioni a fronte di prestazioni future (che verreb-bero anch’esse erogate nella nuova valuta e quindi non rappresentano un problema), 180 miliardi si trovano infondi comuni che quindi non sono parti-colarmente soggetti a panico o a tentativi di trasferimenti opportunistici. Azioni e partecipazioni pesano per quasi il 25%del totale e non sono da considerare un fattore di rischio, sia perché in ultima analisi rappresentative di beni reali sia per l’esiguità della quota rappresentata da azioni domestiche quotate, pari ameno di 80 miliardi, che peraltro, come detto in precedenza, potrebbero anche mantenere la definizione del prezzo in euro. 130 miliardi sono i titoli obbliga-zionari esteri, non toccati dall’eventuale conversione valutaria e 310 miliardi sono invece il risparmio postale, non credibile come fonte di deflusso di capi- tali verso l’estero. Rimangono quindi 650 miliardi di depositi bancari (in parte vincolati), 100 miliardi di banconote e monete e 570 miliardi di titoli di debito pubblici e privati. Se depositi e banco-note possono essere in parte controllati (si ricordino in proposito le misure c.d. antievasione inserite nelle manovre eco-nomiche estive 2011 nonché nel decreto del nuovo Governo Monti, con severe limitazioni all’uso del contante e profonda tracciabilità e trasparenza dei conti correnti) consideriamo invece l’ultima voce. Ebbene, i titoli di debito in una situazione di stress hanno già in gran parte subito gli effetti di una possibile svalutazione, registrata dagli spread nei confronti di analoghi titoli emessi da stati e emittenti corporate di area core Euro: una volta infatti rimosso il rischio di default da mancanza di eventuale monetizzazione il premio ai rendimenti richiesto verrebbe in parte assorbito da un incremento dei corsi. Infatti se un BTP quota 75 e un Bund 130 è evidente che una svalutazione iniziale, se non seguita da ulteriori svalutazioni in futuro non sarebbe motivo sufficiente per cedere il primo a favore del secondo. Appare pertanto evidente che le possibilità di distruttive fughe di capitali verso l’estero, con il semplice intento di mettere al riparo ricchezze liquide da temute svalutazioni da cambio di valuta, appaiono piuttosto remote e limitate a cifre e categorie di assets meno pericolose di quelle genericamente indicate come irrimediabilmente destabilizzanti.
    L’Italia presenta due importanti punti di forza in uno scenario di ritorno ad una valuta nazionale con conseguente rischio di svalutazione. Il primo è un punto di forza relativo, ma in realtà derivante da strutturale debolezza e disinnesca un potenziale fattore di rischio. Si tratta del bassissimo livello degli investimenti stranieri in Italia, che quindi non rappresenta un elemento cruciale: da tempo l’Italia risulta abbondantemente all’ultimo posto in Europa per il rapporto Investimenti Diretti Esteri/Pil e quindi non deve essere temuta una fuga distruttiva di capitali. In compenso l’economia Italiana ha una forte componente di export e di turismo, che beneficerebbe notevolmente da un cambio più vantaggioso. Il vero punto negativo è rappresentato dalla dipendenza energetica, che porterebbe disagi legati al costo dei carburanti. In uno scenario recessivo mondiale però è lecito aspettarsi quotazioni per il petrolio e le materie prime inferiori ai massimi speculativi fatti segnare in passato e pur assorbiti senza problemi dal tessuto economico, in modo da compensare se non per tutto almeno in parte i disagi di una svalutazione. In sostanza per l’Italia si registra una situazione in cui l’economia è solo in minima parte dipendente dagli investimenti esteri mentre è in parte sensibile attiva in esportazioni e turismo: dovrebbe essere quindi massimo il beneficio derivante da una svalutazione, dato che le esportazioni ne trarrebbero vantaggio senza reale rischio di penalizzazioni da fuga di investimenti spaventati da uno scenario valutario instabile. La presenza di una ricchezza finanziaria relativamente controllabile in rispetto a potenziale panico innescato da movimenti opportunistici di capitale come in precedenza illustrato funge da fattore di conforto dell’ipotesi, così come la presenza di un avanzo primario ci rende potenzialmente più tranquilli come dipendenza dai capitali non domestici.

























































Seconda obiezione: L’INFLAZIONE

“dobbiamo immaginare che per molto tempo avremo un’inflazione importante (con le svalutazioni competitive è sempre successo): tutte le materie prime costeranno di più, è un film che abbiamo già visto

Ancora sull’inflazione, una Nuova Lira ne porterebbe con sè molta, come già detto e già visto (e chiedete agli Argentini), qualcuno dovrà dire alle classi più deboli ed ai risparmiatori che saranno (e questa è una certezza matematica) più poveri.”

Risponde Zezza:

L’inflazione si origina da un conflitto non risolto nella distribuzione del reddito da produzione tra impresa, lavoratori, governo e fornitori esteri. Una svalutazione che aumenta il costo dei beni esteri non ha effetti inflativi se il governo riduce, ad esempio, le imposte indirette, o se le imprese accettano (perché costrette) una riduzione nei margini di profitto. È quella che si chiama “politica dei redditi”.

Risponde Borghi:
  
Si ascolti a questo proposito l’intervento del prof in questo video dal minuto 7:36 (sarebbe consigliabile ascoltare l’intero video per ascoltare anche le illuminanti riflessioni del professor Bagnai che parla dal minuto 5:00).



Terza obiezione: DEBITO PUBBLICO INSOSTENIBILE

“o i tassi dei nuovi BOT/BTP saranno così alti da più che compensare gli importanti tassi di inflazione, con ovvi danni per le casse dello stato ed oneri per i contribuenti, oppure verranno “imposti” a BOT/BTP (da chi? come? con queli risorse?) tassi più bassi dell’inflazione (tassi reali negativi), ma in questo caso chi se li dovrebbe comprare visto che la perdita contro l’inflazione sarebbe garantita senza alcun altro vantaggio (rating, sicurezza dell’emittente, valuta)?”


Risponde Zezza:
  • se non ci sarà inflazione non aumenteranno neanche i tassi di interesse
  • tassi di interesse superiori alla crescita del valore della produzione sono comunque non sostenibili, per cui argomentare che il risparmiatore vorrebbe un tasso di interesse del – poniamo – 5 per cento quando l’inflazione è al 2 per cento e la produzione non cresce non ha senso
  • l’uscita dall’euro ha un senso se si ripristina la possibilità per la Banca centrale di garantire il finanziamento residuale del debito pubblico. Dato che l’Italia ha un surplus primario, la possibilità di rinnovare il debito a tassi di interesse sufficientemente bassi eliminerebbe, dalla sera alla mattina, la necessità di politiche di austerità.
NdTrucco: mi permetto di aggiungere alle parole del professore anche queste sue parole espresse in questo video (al 32° minuto): “E’ sicuramente una follia per un Paese uscire dall’euro se tutti i suoi debiti sono denominati in euro ed il Paese non ha la capacità, la sovranità sui contratti, per portarli in una nuova valuta“.



Risponde Borghi:

Il debito pubblico denominato in valuta locale è sempre stato considerato come asset risk-free per i risparmiatori domestici. La possibilità (esplicita o sottintesa) per la Banca Centrale di agire come prestatore di ultima istanza, eventualmente monetizzando il debito esistente, è sempre stato un deterrente sufficiente da non provocare mai rilevanti fenomeni di panic selling sui titoli del debito pubblico. Il fattore determinante per le scelte dei risparmiatori è quindi sempre stato il tasso di interesse (da confrontarsi domesticamente con l’inflazione attesa) e il saggio di cambio rispetto alle altre valute (da confrontarsi con l’attesa di svalutazione della moneta in cui il titolo era denominato rispetto a titoli emessi in altra valuta). Non veniva invece computata nel prezzo alcuna quota relativa al rischio di default dell’emittente, pensando infatti che il debito sarebbe stato in ogni caso ripagato, se pur magari con moneta svalutata. In sostanza il prezzo del titolo di Stato P prima dell’introduzione dell’Euro era funzione esclusivamente delle attese sui tassi (intesi come proxy dell’inflazione) e delle aspettative di svalutazione comparate con titoli in valuta.
Da notare come il rischio di default sia molto più invasivo della semplice aspettativa di svalutazione o dai timori inflazionistici intesi come variabili specifiche in quanto, essendo l’insolvenza un evento puntuale e non prevedibile, colpisce sia il funding a breve scadenza sia quello a lunga, anzi, rendendo proporzionalmente più rischiosi proprio i titoli a breve. Il risultato è stata una brusca impennata dei rendimenti, con l’effettiva uscita dal mercato dei capitali di numerosi Stati.

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Ringrazio i 2 economisti (mi piacerebbe poterli chiamare colleghi ma forse…) del loro aiuto. Spero che coloro che avevano espresso le critiche siano ancora sintonizzati su TF e possano leggere queste repliche. Per chi avesse il tempo e la voglia di conoscere ancora meglio i pensieri e le riflessioni di Gennaro Zezza e Claudio Borghi vi segnalo ancora le interviste dell’ottimo blog byoblu:

La svendita programmata delle sovranità – Gennaro Zezza (clicca qui il link)

Come si esce dall’euro? Intervista a Claudio Borghi (clicca qui il link)

6 commenti:

  1. Ottima opera di informazione su un altro assurdo e ridicolo luogocomunismo : i danni da uscita dall euro e l inflazione dilagante. Riguardo la svalutazione che dovrebbe colpire la nuova lira, valutandola in una banda tra il 20 e il 25%, max 30%, credo che valga la pena aggiungere che sarebbe nettamente minore di quella che ha subito l euro ( e che nessuno se ne è accorto ) dai suoi massimi 1,6 ai suoi minimi intorno alla parità, riequilibrerebbe il saldo delle partite correnti, riducendo il debito con l estero, e ben presto le altre Banche centrali tornerebbero ad acquistare lire, rivalutandole, per non lasciare il monopolio delle esportazioni all Italia con una moneta troppo "debole". E quando l economia ripartirà, i capitali esteri torneranno a riversarsi nel nostro Paese.

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  2. Questo è un cult !! Da non perdere ! E da farci un estratto. In una notte buia e tempestosa così parlo il ministro Fabrizio Barca ( ministro coesione territoriale ) a Piazza Pulita ( http://www.youtube.com/watch?v=PalCI3xKrso )esattamente a 1h 58' 05 del filmato'' : " quando avevamo svalutazione avevamo inflazione, brigate rosse (??) morti per le strade (??) perchè l inflazione è la più grave delle tasse" !! Allucinante. Si è dimenticato di aggiungere che i mari ribollirono, le montagne si misero in moto e il cielo venne scoperchiato. E questo è ministro della repubblica. Una video da custodire insieme a quello di Berlusconi e il contartto con gli italiani, Walter Chiari e il sarchiapone, Totò e la fontana di Trevi. Notate anche il subdolo sillogismo con il quale è titolata la puntata " italia corrotta,italiani tartassati". Siamo in mano a fanatici e incompetenti. L Italia anche grazie allle svalutazioni creò quel benessere economico che fece dell'Italietta il 5° Paese più ricco al mondo, promossa nei G7 tra i Paesi più prosperi e industrializzati al mondo. Oggi con l Euro, dentro l Euoropa delle austerità, e della Bce che si è trasformata in Stato siamo i PIIGS d Europa, i somari della classe. Negli anni 80 con l inflazione al 22% l Italia risultava il primo Paese al mondo per capacità di risparmio delle famiglie. L italiano riusciva a risparmiare il 25% del suo reddito, l Italia aveva una economia fortissima, leader in Europa, una forte crescita, un Welfare che oggi ci sogniamo, prosperità, stipendi più che dignitosi e una bassa disoccupazione. Era un problema l inflazione ?? Tornare a quei tempi non sarebbe male, o no ???? Nel 2009 con l inflazione allo 0,9% la capacità di risparmio si era ridotta di 1/4 : le famiglie riuscivano a risparmiare appena il 6%, precipitando tra gli ultimi posti al mondo. In Argentina abolendo le austerità per tenere sotto controllo il debito e l inflazione, hanno ridotto la disoccupazione da quasi il 20% al 7%, un buon risultato direi.

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  3. Può andare benissimo anche l'inflazione alta ma devi avere dei meccanismi di recupero sui salari (la vecchia scala mobile).

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  4. Il terrorismo sull'uscita dall'euro non si fa scrupoli di diffondere baggianate come fossero verità economiche assodate, e di attaccare chiunque osi esprimere delle critiche.
    E' vergognoso come quel pallone gonfiato di cui non ricordo il nome si permette di trattare Paolo Becchi.
    E il problema dell'inflazione si verifica quando non ci si mette d'accordo nella redistribuzione della torta.

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  5. Sarebbo bello poter avere delle opinioni da questi economisti sulla proposta dall'economista francese Sapir: usare l'euro come moneta comune e non unica. Permettere agli stati di ritornare alle vecchie valute solo per uso interno e usare l'euro come moneta comune negli scambi internazionali. Le conseguenze sarebbero le stesse?
    Elena

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  6. Io nel mio piccolo penso che si potrebbe mantenere l'euro come moneta per gli scambi internazionali, ma a patto di avere un cambio flessibile tra euro e valute nazionali, sennò è chiaro che siamo daccapo.
    Qui c'è la proposta di smantellamento dell'euro di Sapir e altri pubblicata tempo fa su Le Monde, ma evidentemente non è quella a cui ti riferisci, Elena, perché non parla di mantenere l'euro negli scambi internazionali.

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