19/02/12

LA GERMANIA NON E’ MAI STATA LA LOCOMOTIVA DELL’EUROPA, MA IL RIMORCHIO

L'amico Piero Valerio del blog La Tempesta Perfetta, ha riassunto in un quadro generale - grazie, va detto, alla efficacissima divulgazione di Goofynomics - l'analisi sugli squilibri interni all'eurozona: il lato oscuro dell'euro e della sua crisi. 

 L’affermazione che la Germania sia la locomotiva dell’eurozona è uno dei luoghi comuni più superficiali e falsi che viene ancora sostenuto con forza dai politici, economisti e giornalisti di regime (sia di destra che di sinistra), che cercano di convincere e illudere i propri adepti e lettori a seguire i passi del miracolo tedesco per ottenere una pronta ripresa dell’economia italiana. L’attenta analisi dei dati e delle variabili economiche dice invece una verità ben diversa: la Germania è stato il rimorchio dell’eurozona, perché senza il traino e le massicce importazioni di prodotti tedeschi da parte dei paesi della periferia il miracolo tedesco non sarebbe mai avvenuto.

Questo articolo prende spunto dalle interessanti e condivisibili analisi del professore di economia Alberto Bagnai espresse sul suo ottimo blog Goofynomics, in cui il professore non senza ironia prende in giro tutti coloro che ancora si ostinano a non volere capire cosa è accaduto nei 17 paesi dell’eurozona negli ultimi 10 anni. Tralascerò volutamente alcuni dettagli tecnici (che possono essere ritrovati sui vari post di Bagnai dedicati all’argomento, che fra l’altro consiglio a tutti di leggere perché spassosissimi e pieni di citazioni dotte e letterarie) e mi concentrerò invece su quello che mi preme di più evidenziare: la logica ferrea delle argomentazioni messe in campo, che partendo da precisi eventi storici hanno poi trovato conferma nei dati dell’economia. Ovviamente le considerazioni del professore Bagnai sono soltanto un fondamentale punto di partenza, mentre tutto il resto è farina del mio sacco.


Dopo aver visto in un precedente articolo il sistema di regolamento e compensazione dei pagamenti TARGET2, che è lo strumento che ha consentito nella pratica quotidiana la nascita e la proliferazione di squilibri macroeconomici nell’area dell’eurozona, mi sembrava opportuno comprendere il motivo per cui questi sbilanciamenti dei saldi commerciali hanno potuto avvantaggiare soltanto una parte dell’eurozona (la Germania), a danno di tutti gli altri paesi PIIGS (Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia, Spagna): i dati di oggi confermano che la Germania ha reso molto più efficiente la sua macchina bellica industriale, ma analizzando bene la storia vedremo che in qualche maniera i tedeschi hanno giocato sporco nei confronti dei loro stessi alleati europei, puntando in anticipo rispetto a tutti gli altri su una politica di bassa inflazione e liberalizzazione sfrenata del mercato del lavoro (la Germania è stata la vera Cina dell’eurozona, ma al contrario della Cina non ha consentito ai paesi limitrofi di sviluppare le loro economie locali). Ma andiamo per passi e cerchiamo di ricostruire gli eventi, ritornando al momento in cui tutto ebbe inizio.

Il 9 novembre 1989 cade il muro di Berlino e il potente cancelliere tedesco Helmut Kohl si trova ad affrontare un difficile e costoso processo di riunificazione fra la più moderna Germania Federale e l’arretrata Germania Democratica. Gli squilibri fra questi due paesi sono enormi: basta citare un solo dato per avere un’idea, la disoccupazione nella DDR è al 20% e la sua industria è praticamente ferma in termini di sviluppo e innovazione ai primi anni del dopoguerra. Ci sono città intere da ricostruire da zero come la stessa Berlino Est, Dresda, Lipsia. Secondo alcune stime recenti i costi totali della riunificazione tedesca sono stati circa 1.500 miliardi di euro. Un’enormità.

La Germania Federale può contare su un ottimo tessuto industriale, basato sulla chimica, l’industria pesante, l’automotive, ma malgrado l’indubbia caratteristica di affidabilità e resistenza i prodotti tedeschi risultano ancora molto costosi rispetto ad analoghi prodotti delle industrie italiane, francesi, spagnole, che potendo appoggiare le vendite su una moneta più debole del marco, sono sicuramente più avvantaggiate nelle esportazioni. Italia e Spagna soprattutto, considerati dai tedeschi dei veri e propri stati canaglia per la loro aggressività competitiva, hanno ancora una loro piena sovranità monetaria e possono agire liberamente (tramite il supporto tecnico della propria banca centrale di emissione) sulla leva delle svalutazioni competitive esterne della moneta nei confronti del marco per migliorare il livello delle esportazioni e riequilibrare eventuali squilibri della bilancia dei pagamenti.

Per fare un po’ di cassa al cancelliere Kohl non resta che puntare tutto sul processo di unificazione economica e monetaria della comunità europea, già avviato per altri motivi in quegli stessi anni dalla Francia del presidente Francois Mitterand e del primo commissario europeo Jacques Delors, a cui era stato affidato il compito di studiare un programma e un piano di progressiva unificazione delle monete nazionali in un’unica moneta: l’euro. Dopo un’iniziale accoglienza tiepida di questo progetto, la Germania di Kohl diventa improvvisamente un fautore entusiasta della nascente Unione Monetaria Europea (che a quel tempo contava solo 11 stati rispetto ai 17 attuali: Germania, Francia, Italia, Spagna, Belgio, Olanda, Irlanda, Finlandia, Portogallo, Austria e Lussemburgo).

Il cancelliere Kohl stringe un patto di ferro con il presidente francese Mitterand e il processo di unificazione monetaria europea subisce un’accelerazione impressionante: già nel 1992 vengono firmati a Maastricht i Trattati di Funzionamento dell’Unione Europea. Il proposito del cancelliere Kohl è abbastanza chiaro a chiunque tranne che ai governanti dei paesi coinvolti nell’accordo (per l’Italia in particolare Prodi, Monti, Padoa Schioppa, Draghi, Amato, Ciampi, Dini, tutti uomini appoggiati con ambigua convinzione politica dalla sinistra, ma che in realtà erano ex-banchieri o ex-membri del vecchio regime socialista e democristiano): spalmare gli enormi costi dell’unificazione tedesca sui paesi della periferia dell’Europa, che a causa delle loro beghe interne politiche (ingovernabilità, corruzione) e di bilancio (elevati debiti pubblici) o per paura di rimanere isolati sono costretti loro malgrado o per interessi particolari ad aderire al progetto franco-tedesco di unificazione monetaria. Paesi più stabili economicamente e politicamente come Gran Bretagna, Svezia e Norvegia non pensano neanche per un attimo ad unirsi a questa grande ammucchiata, in cui era molto prevedibile che prima o dopo la grande Germania avrebbe fatto un massacro.

Nel 1998 vengono fissati rigidamente i tassi di cambio fra le monete degli 11 paesi: la lira italiana viene ancorata al marco tedesco con un rapporto di cambio di 990 lire per un marco, in previsione del successivo e definitivo ingresso dell’euro. E’ un tasso di cambio ancora favorevole per le imprese italiane e infatti le esportazioni verso la Germania sono abbastanza sostenute. Intanto, nello stesso anno, in Germania il cancelliere Kohl viene sostituito dal socialdemocratico Gerhard Schroeder, che nonostante sia un oppositore politico, continua pedissequamente il progetto del predecessore: bisogna mettere la Germania in una posizione di vantaggio rispetto ai concorrenti europei (non alleati, beninteso, perché i tedeschi non hanno mai ragionato in questi termini) così non appena verrà introdotta la moneta unica e nessun paese dell’eurozona potrà più agevolarsi di svalutazioni competitive sul tasso di cambio, la grande Germania potrà accumulare enormi surplus di ricchezza con le sue esportazioni.


Dato che non si potranno più utilizzare svalutazioni esterne, bisogna agire sui metodi di svalutazione competitiva interna del lavoro e della produzione per rendere più apprezzabili e convenienti i prodotti tedeschi e la Germania fa proprio questo. Dal 1997 al 2009 il governo Schroeder abbassa progressivamente l’aliquota massima d’imposta per i privati cittadini dal 53% al 42%, mentre per le imprese viene quasi dimezzata arrivando al 29,4%: i margini di profitto delle aziende tedesche possono quindi essere rimodulati su prezzi inferiori. Ma non solo, sfruttando gli alti livelli di disoccupazione (8%-10%) e la minaccia di licenziamenti e delocalizzazione delle imprese, il governo mette a punto un piano di liberalizzazione sfrenata dei contratti di lavoro e riduzione delle tutele sindacali: dal 2003 al 2009 i salari reali dei lavoratori tedeschi corretti all’andamento dell’inflazione e al costo medio della vita scendono del -6% (guarda grafico sotto, dove i salari italiani rimangano stabili mentre quelli tedeschi scendono proprio in concomitanza con l’introduzione dell’euro nel 2002).









Nel 1998 viene inaugurata la Banca Centrale Europea BCE che, su indicazione della banca centrale tedesca Bundesbank che è il maggiore azionista, avrà come scopo principale il controllo dell’inflazione: l’obiettivo della BCE è quello di mantenere l’inflazione annua intorno al 2% per tutti i paesi dell’eurozona, ignorando tutte le differenze produttive, economiche e di spesa che esistono già fra i vari stati. I paesi dell’eurozona si adeguano, tutti tranne la Germania che dal 2000 al 2007 mantiene un’inflazione media più bassa dell’obiettivo della BCE (1,6%), senza che quest’ultima faccia mai notare ai proprietari tedeschi che avere un’inflazione più bassa del target fissato in un contesto di unificazione monetaria può creare scompensi macroeconomici immensi e risulta un comportamento scorretto nei confronti dei paesi alleati. Nello stesso periodo infatti l’inflazione media dell’Irlanda (3,4%), Grecia (3,2%), Spagna (3,1%), Portogallo (2,9%) risulta più alta. L’Italia (2,1%) si mantiene invece abbastanza aderente al vincolo europeo, ma questa costante divaricazione dell’andamento dei prezzi al consumo fra la Germania e i paesi PIIGS sarà fondamentale per la nascita di quegli squilibri macroeconomici che stanno portando al collasso l’intero sistema dell’eurozona.

Nel 2002 viene introdotto l’euro e la Germania entra a piedi uniti nel mercato unico, avendo già attuato in pratica una politica di svalutazione competitiva interna sui prezzi e sul lavoro (precarizzazione del lavoro, riduzione dei salari, minaccia di disoccupazione, aumento delle disuguaglianze sociali) che la mette in una posizione di netto vantaggio rispetto agli altri paesi (alla faccia dei sani principi comunitari di sussidiarietà e collaborazione). La forbice dei prezzi continua ad aumentare e questo rende più agevoli e convenienti le esportazioni tedesche nei paesi PIIGS, ma allo stesso tempo rende più complicato esportare in Germania per i paesi della periferia perché i prezzi dei loro prodotti risultano abbastanza alti e impraticabili per i consumatori tedeschi. Come si vede nel grafico sotto i paesi che hanno un differenziale dei prezzi maggiore con la Germania sono anche gli stessi che tendono ad indebitarsi più velocemente, perché importano molto dalla Germania ed esportano poco ai tedeschi. 





Le banche tedesche che hanno accumulato un surplus di riserve, tramite le esportazioni del settore imprenditoriale, investono nei paesi e nelle banche dei PIIGS per sostenere i consumi e accelerare i processi di indebitamento privato. A differenza di quello che molti continuano ancora a ripetere il problema del debito non riguarda tanto la parte pubblica e il contenimento delle spese governative (ricordiamo per esempio che la Spagna è stata per molto tempo l’unico paese che rientrava nei parametri del Patto di Stabilità europeo del 3% del deficit/PIL e del 60% del debito pubblico/PIL), ma l’indebitamento privato, perché un sistema illogico dei pagamenti fra i paesi dell’eurozona come TARGET2 non metteva praticamente limiti all’indebitamento dei residenti dei vari stati dell’unione e alla possibilità delle banche locali di concedere prestiti, anzi questi venivano incentivati tramite l’afflusso di nuovi capitali dalla Germania e dal regime sorprendentemente basso e indifferenziato dei tassi di interesse. Nel grafico sotto, vediamo appunto che fra il 2000 e il 2007 l’incremento di indebitamento è soprattutto nel settore privato e non pubblico (anzi paesi come Irlanda, Italia e Spagna hanno addirittura ridotto i margini di debito pubblico accumulato).





La storia dei “paesi spendaccioni” quindi è falsa e infondata, perché i dati dicono esattamente un’altra cosa: quasi tutti gli stati PIIGS hanno adottato politiche di spesa pubblica virtuosa, mentre il vero problema è stato il credito privato gonfiato artificialmente dalle banche locali sostenute da lontano dai colossi tedeschi della finanza (Deutsche Bank e Commerzbank). Il sistema macroeconomico sbilanciato dell’eurozona è stato quindi corrotto sia in modo strutturale che finanziario dall’atteggiamento competitivo e aggressivo della Germania e ora la stessa Germania chiede agli stati di fare quei sacrifici di austerità che in verità sono già stati fatti durante questi lunghi 10 anni: mentre niente dice la Germania sul vero dilemma dell’eurozona, costituito dagli squilibri commerciali degli scambi, dai differenziali del regime dei prezzi, dalla diversa competitività produttiva, perché questo metterebbe in discussione proprio il modo in cui si sono formati gli alti volumi delle esportazioni tedesche.
Ovviamente esistono anche casi limite, come quello del governo greco che nel 2009 truccò i dati del bilancio pubblico per rientrare nei parametri richiesti dall’Unione Europea, ma questo stratagemma fu applicato grazie al supporto di uno dei grandi creditori internazionali del debito pubblico greco come Goldman Sachs, con la tacita approvazione a distanza sia della BCE che delle istituzioni europee, che pur sapendo bene quello che stava accadendo in Grecia, non avevano alcuna intenzione di interrompere il carosello impazzito dei flussi finanziari e commerciali nell’eurozona, tanto cari alla Germania. Tutti hanno cercato di nascondere sotto il tappeto la polvere, convinti che quella stessa polvere non sarebbe mai uscita allo scoperto. Anche perché, quando il marcio ritorna a galla, la soluzione viene sempre trovata rapidamente dai tecnocrati e dagli operatori finanziari che sono stati i veri artefici del disastro: scaricare a valle sul popolo tutti gli errori e le inefficienze che sono state create a monte del sistema. La colpa è del popolo spendaccione e non del banchiere o governante che ha consentito ai cittadini di indebitarsi oltre i limiti della decenza e della logica. E il popolo intero deve ripagare centesimo dopo centesimo, con tasse e tagli allo stato sociale, i debiti contratti da una parte minima dei suoi stessi concittadini.  

Ma torniamo di nuovo ai dati, ai fatti, che erano noti da tempo e sotto gli occhi di tutti. Se indichiamo con il termine produttività totale dei fattori il rapporto tra il valore di mercato di ciò che si produce e il valore di mercato dei fattori produttivi impiegati, ossia capitale umano, capitale fisico (ammortamenti e nuovi investimenti), energia, materie prime e intermedie, importazioni, vediamo ancora una volta che i differenziali di prezzi e salari prima descritti hanno creato uno squilibrio sempre più marcato fra paesi della periferia come Spagna e Italia e i paesi del centro come la Francia e la Germania (guarda grafico sotto, dove la forbice inizia come sempre ad allargarsi dopo il 1997), senza che nessuno nelle varie commissioni o vertici europei abbia mai alzato un dito o detto una parola per ripristinare un contesto più equilibrato delle efficienze produttive e delle condizioni di lavoro nei vari stati dell’eurozona. Perché esisteva il veto proprio di Germania e Francia su qualsiasi proposta di modifica dei trattati europei, che potesse rendere minimamente più credibile e omogenea l’impalcatura fragile dell’unificazione monetaria, che senza una precedente unificazione delle politiche economiche e fiscali dell’intera eurozona sarebbe stato sempre un processo incompleto e difettoso. Ai tedeschi e francesi andava bene così e fosse stato per loro il gioco poteva andare avanti all’infinito.




Ma un’altra stupidaggine che viene spesso ripetuta da politici ed economisti di regime (ribadiamo sia di destra che di sinistra che di centro, per par conditio) è che la Germania ha potuto creare questi enormi surplus delle esportazioni perché è riuscita a penetrare nei mercati dei paesi emergenti BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) e in Cina in particolare. Ma se esaminiamo la tabella sotto vediamo che la situazione è ben diversa da ciò che ci raccontano: dal 1999 al 2007 il maggiore incremento delle esportazioni di beni è avvenuto verso i paesi europei (66%, di cui il 32% solo nei paesi PIIGS), mentre il saldo fra esportazioni e importazioni nei paesi BRICS è diminuito del -2% (di cui il -8% per la Cina, che esporta in Germania più di quello che importa). 





Nel grafico sotto vediamo ancora meglio e in modo immediato come la crescita dei saldi commerciali netti (esportazioni meno importazioni di beni) della Germania sia sempre stata superiore nei paesi dell’eurozona rispetto a tutti gli altri paesi del mondo (BRICS, Unione Europea non euro, Stati Uniti e altro). Ciò significa evidentemente che i saldi commerciali tedeschi verso i paesi dell’eurozona negli ultimi 10 anni sono stati sempre maggiori del 50% rispetto al totale.




Nello specifico, il confronto bilaterale fra i bilanci commerciali di Germania e Cina vede sempre i tedeschi in deficit rispetto ai cinesi, perché se è vero che i volumi di esportazioni sono aumentati nel tempo, è anche vero che le importazioni dalla Cina hanno avuto un tasso di crescita maggiore: come ripete spesso il professore Bagnai, in una verifica seria i flussi della bilancia dei pagamenti vanno visti sempre esaminando i dati nel complesso e non prendendo soltanto un valore di flusso come riferimento (ovvero dire che le esportazioni tedesche verso la Cina sono cresciute non significa niente, se non guardiamo pure nello stesso periodo cosa è accaduto alle importazioni di prodotti cinesi in Germania, perchè è dal saldo finanziario fra entrate e uscite monetarie che si può capire la reale efficacia e convenienza di una certa scelta commerciale o strategia economica).




Se entriamo ancora di più nel dettaglio (vedi tabella sotto), notiamo che anno dopo anno il saldo commerciale della Germania verso i paesi dell’area euro è stato superiore rispetto al resto del mondo (non euro area), per un semplice motivo: la Germania esportava molto nei paesi PIIGS ma importava poco i loro prodotti (per la già citata forbice dei prezzi, che rendeva poco appetibili e molto costosi per i consumatori tedeschi i prodotti di paesi in cui l’inflazione era considerevolmente più alta). Se esaminiamo soltanto la colonna delle esportazioni, vedremo che verso il resto del mondo le esportazioni tedesche sono state sempre maggiori in valori assoluti rispetto alle esportazioni nell’eurozona, ma se verifichiamo la colonna delle importazioni vedremo nei dati quello che sappiamo già nei fatti: la Germania importava dal resto del mondo molto di più in proporzione di quello che importava dai paesi dell’eurozona, quindi la parte maggiore del suo surplus commerciale si formava sempre a danno degli altri stati dell’area euro.





A questo punto risulta abbastanza chiaro il motivo per cui la Germania non è mai stato la locomotiva dell’eurozona, ma si è sempre configurata come un pesante rimorchio per tutti i paesi PIIGS, dato che è riuscita ad espandere la sua economia soprattutto grazie ai surplus accumulati in Europa, mentre nel resto del mondo i suoi dati di performance sono stati molto modesti. A differenza invece della Cina, che è una vera locomotiva per la sua area perché risulta quasi sempre in deficit commerciale con i paesi limitrofi e accumula i suoi enormi surplus con il resto del mondo, facendo da volano per un intero continente: quindi paragonare la Germania alla Cina è fuorviante e sbagliato, perchè la Cina consente lo sviluppo delle economie dei paesi confinanti e non li soffoca o li indebita come ha fatto la Germania in tutti questi anni con i paesi della periferia europea.
Dopo questa analisi, unita alla descrizione del meccanismo di funzionamento del sistema di regolamento dei pagamenti TARGET2, diventa ancora più evidente il modo in cui la Germania è riuscita ad imporre il suo disegno e a perseguire i suoi interessi a danno di tutti gli altri presunti alleati europei: vantaggio competitivo sleale sui prezzi e i salari, banca centrale BCE compiacente, istituzioni europee assenti, subdolo incoraggiamento ad utilizzare lo strumento del debito illimitato per acquistare prodotti tedeschi. E ora che questo sistema perverso è andato in frantumi, la Germania reclama l’austerità e il rigore nella gestione dei bilanci pubblici (vedi assurda imposizione dell’accordo intergovernativo Fiscal Compact) come unica via di uscita dal disastro, deviando l’attenzione dal vero nocciolo duro della questione europea che come invece abbiamo già visto è lo squilibrio e lo sbilanciamento macroeconomico. Ma come? Verrebbe da chiedersi, prima i tedeschi consentono a italiani, portoghesi, irlandesi, spagnoli e greci di indebitarsi, invitandoli palesemente a sfruttare la convenienza del regime dei bassi interessi che regnava nell’area dell’eurozona, e ora chiedono a quegli stessi popoli di svenarsi per ripagare un debito che è stato contratto in modo illecito e truffaldino? Questo sarebbe un atteggiamento corretto e solidale da parte di un paese alleato? Questa sarebbe l’Europa della libertà e della democrazia che qualcuno ha cercato di venderci?
In conclusione, è utile ricordare come promemoria per comprendere ancora meglio come funziona il meccanismo contorto dell’economia europea, cioè che è accaduto lo scorso anno durante gli accordi di salvataggio della Grecia: la Germania e la Francia hanno imposto alla Grecia di acquistare armamenti tedeschi e francesi per centinaia di milioni di euro nonostante i greci siano costretti – sempre dagli stessi – a imporre feroci tagli di spesa su salari, pensioni, sanità. Berlino e Parigi hanno preteso l'acquisto di armamenti (carri armati, sottomarini, cannoni) come condizione per approvare il primo piano di salvataggio della Grecia da 110 miliardi di euro. Il governo greco ha provato a negoziare ma alla fine, nel 2011, ha dovuto tirare fuori 1,3 miliardi di euro per due sommergibili tedeschi (inizialmente erano addirittura 4), 403 milioni di euro per i carri armati Leopard, mentre la Francia ha imposto l'acquisto di 6 fregate, 15 elicotteri e motovedette francesi per una spesa di 4,4 miliardi di euro. Questa insomma sarebbe l’Europa della collaborazione, della cooperazione e della fraterna amicizia fra paesi alleati.
Con il suo incredibile rapporto fra spese militari e PIL nazionale del 7%, la Grecia si piazza al 5° posto nel mondo fra i paesi più guerrafondai che investono maggiori fondi pubblici per l’acquisto di armamenti militari: ma come mai? Contro chi dovrà muovere guerra la Grecia con tutti questi armamenti? Quali nemici al confine costituiscono una minaccia così incombente per Atene? Vuoi vedere che alla fine i greci insorgeranno contro i loro stessi dittatori europei che sono arroccati a Berlino, Bruxelles, Francoforte? Chissà. Per adesso non ci rimane che inviare un caloroso invito a resistere e a combattere ai fratelli greci, consapevoli che fra poco arriverà anche il turno degli italiani di scegliere se lasciarsi spolpare vivi sulla gogna degli aguzzini o scendere nell’arena della resistenza comune europea. La guerra è appena iniziata e il nemico purtroppo non fa prigionieri.

19 commenti:

  1. Ottimo Carmen!
    Va dato atto al professore Bagnai di avere ricostruito egregiamente tutto il mosaico confuso dei dati e delle menzogne che vengono ancora dette sui problemi dell'eurozona...io ho solo raccolto ciò che lui ha seminato...comunque resta il fatto che pur avendo ormai un quadro abbastanza chiaro della situazione, dobbiamo subire delle scelte di governo palesemente sbagliate e contraddittorie (continui tagli alla spesa pubblica quando invece il problema è di indebitamento privato...)...purtroppo prevedo presto nuove manifestazioni di piazza violente sulla scia di Atene in fiamme, perchè questo è l'unico modo per farci davvero sentire dal direttorio nazifascista della trojka e malgrado ciò, loro continueranno ad andare avanti perchè non hanno più scelta e non hanno mai avuto un piano B...i manifestanti dovrebbero solamente avere più chiaro ciò che è giusto rivendicare: non il lavoro, ma avere innanzitutto una banca centrale e uno stato che può utilizzare politiche di deficit spending, poi il lavoro verrà come conseguenza...speriamo che l'arrivo in Italia dei professori della MMT riesca ad illuminare qualche mente...a presto! Piero

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  2. Caspita, certamente, Valerio, va dato atto a Bagnai, e lo faccio subito anche nell'introduzione al post!
    Quanto a quello che ci aspetta...Sai cosa penso? Vedo all'orizzonte un Cigno Nero very very, ma very very big...

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  3. Carmen post molto interessante!!!

    L'ho già chiesto a Piero Valerio, e pongo il medesimo quesito anche a te.

    Mi chiedevo una cosa, visto che i politici, economisti e pennivendoli di regime, ci sfiancano su tutti i lati, sostenendo che la colpa dell'euro-crisi è tutta di noi "PORCII"(PIIGS) spendaccioni, corrotti, con spese troppo alte per le nostre umili possibilità, e che se avessimo fatto le coraggiose e mirabolanti riforme attuate dalla virtuosa Germania, adesso non avremmo alcuna crisi dell'Italia e dei PIIGS, allora mi chiedo, era doveroso fare queste politiche di svalutazione competitiva interna, anche nei PIIGS, per stare al passo con la Germania???
    Deprimere i salari e i diritti dei lavoratori, ci avrebbe davvero evitato la cannibalizzazione teutonica? Oppure avrebbe solo depresso la domanda interna, senza risultati apprezzabili dall'estero??
    Insomma questi in sostanza ci dicono che dovevamo auto-flagellarci, per essere degni e capaci di stare nell'eurozona, ma io temo che per poter competere con questo euro così congeniato, non sarebbe bastato comunque, se non arrivando addirittura ai barbari ed disumani livelli cinesi!!
    Una barbarie appunto, per esseri umani senza diritti e tutele, ridotti a bestie da soma!!!!

    Cordiali saluti, Nicola

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    1. Sì, avremmo dovuto spingere molto in basso i nostri salari, troppo, perché in valore assoluto sono più bassi di quelli Tedeschi!.
      Non c'è dubbio che potremmo aumentare la produttività anche con riforme della pubblica amministrazione che agevolino il fare impresa, migliorando l'istruzione, sostenendo la ricerca ecc ecc, ma per queste riforme in un primo tempo ci vogliono soldi, anche se poi magari portano dei risparmi, ed è per questo che il nostro paese non cresce, perché non ce le possiamo nemmeno permettere (stante il patto di INstabilità).
      Quindi: deflazione. Però, Nicola, io dico che fare un'unione monetaria per poi competere all'ultimo sangue tra partners con svalutazioni interne non può funzionare, perché qualcuno sarà per forza perdente, alla fine, e allora? Che io sappia, le unioni monetarie funzionano quando il paese più forte fa da traino, acquistando con il suo surplus dei beni nei paesi più deficitari, in modo da sostenerli, come faceva ad es la Gran Bretagna nel gold standard.
      Ciao carissimo

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  4. bellissimo articolo, dovrebbe essere su tutte le prime pagine dei giornali a caratteri cubitali, così la gente sarebbe obbligata a leggerlo, così potrebbero capire che quello che sentiamo nei telegiornali sono notizie non veritiere. Informiamoci da soli se vogliamo almeno capire come stanno le cose. la ringrazio per questo articolo.
    Chiara

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  5. Prego Chiara, il merito è soprattutto di Piero che ha fatto questa bella sintesi, e di Goofy, che studia per noi, e non tace...!

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  6. se a casa mia spendo 2000 euro e ne guadagno solo 1000 e gli altri 1000 me li faccio prestare dalla banca e mi indebito , poi do la colpa alla banca ......se non riesco a ripagarla ???????

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    1. Se la banca mi ha fatto dei tassi molto bassi, e tutti mi hanno detto che facevo bene a indebitarmi perché così crescevo, e che avrei guadagnato un migliore tenore di vita....forse il cittadino Greco è meno colpevole delle banche, che hanno tutti gli strumenti per comprendere la situazione e valutare il merito di credito del cliente.
      In ogni caso, quando vedi che il tuo debitore non può pagare, che fai tu, lo prendi per il collo?

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  7. Capolavoro di dietrologia e teoria del complotto.
    A chi volesse veramente comprendere cosa e' la Germania, come agisce, che obiettivi si e' prefissata e quali sono quelli futuri, consiglio di procurarsi il numero di Limes "La Germania tedesca nella crisi dell'Euro". 14Euro ben spesi.

    Der Pilger

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  8. Spiegazione tecnica, niente dietrologia
    vedi qua (gratis):
    http://www.costituzionalismo.it/articolo.asp?id=406

    E io spendo questi 14 euro.

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  9. non contesto la spiegazione tecnica, non ne sarei in grado, ma contesto la mancanza di considerazione per altri elementi che non siano economici.
    Per esempio, se e' vero che la germania ha ottenuto forti vantaggi dall'unione monetaria, non e' vero che la germania e' stata la sola a beneficiarne.
    Per esempio non si e' considerata la questione dei tassi di interesse.
    Prima dell'unione monetaria la germania aveva tassi di interesse del 2,6% nel 1994 e che sono calati di poco, infatti nel 2007 erano al 2,4%. Al contrario italia e grecia avevano tassi di interesse molto alti, per esempio la grecia e' passata dall'11,9% del 1994 al 4,2% del 2007 con un risparmio di 17,5 miliardi *all'anno*. Stesso discorso per l'italia, passata dal 10,6% al 4,7% e ad altri paesi come belgio, irlanda, portogallo e spagna.
    Pero' questo tesoretto grecia e italia non l'hanno usato per riformare il sistema fiscale (grecia) o quello industriale (italia), si e' deciso invece di disperderlo in clientele e altre inefficienze. Forse che ancor prima dell'introduzione dell'euro non si sapeva che intenzioni aveva la germania e che mosse avrebbe fatto? dove starebbe l'inganno?
    Come si puo' imputare alla germania il fatto di essere competitiva di fronte a decisioni errate (o di vera e propria corruzione) dei suoi partner?!
    Altro esempio e' la distorta (secondo me) ragione della nascita dell'euro, voluto da kohl certo, ma esclusivamente come pegno da pagare per la riunificazione, cioe' come lasciapassare
    economico per una questione politica. Ricordo benissimo che in germania si guardava con enorme scetticismo l'abbandono del marco e come allora anche oggi si guarda ad una valuta magari piu' costosa (si parla di N-Euro, l'euro del nord), che puo' incidere sull'export, ma che garantisce stabilita'.
    L'articolo e' pieno di queste omissioni o di queste storture.
    Tutto questo per dire che non si possono considerare i dati economici e "dimenticare" gli elementi storici e soprattutto quelli culturali. Non conoscere la mentalita' tedesca, trascurare la sua storia o tagliare con l'accetta la sua cultura significa prendere degli abbagli, mentre per gli italiani scadere nel vittimismo (non siamo noi corrotti e inefficienti, sono i tedeschi ad essere prepotenti) e' la solita scappatoia per evitare di prendere decisioni coraggiose.

    Der Pilger

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    Risposte
    1. I dati economici, caro Der Pilger, non sono gli unici da considerare, ma fanno da base. Sulla base dei dati bisogna valutare le situazioni.
      Ti rispondo sui tassi: se è vero che l'entrata nell'euro ci ha per un certo tempo abbassato i costi del debito, è anche vero che c'è un rovescio della medaglia, perché i tassi troppo bassi hanno facilitato l'indebitamento. Guarda, non lo dico io, è lo stesso Werner Sinn, uno dei più autorevoli economisti Tedeschi, che dice che il problema al fondo della crisi dell'euro sono i crediti facili, che hanno fatto crescere salari e prezzi, peggiorando la competitività della Grecia, e degli altri PIIGS, e innescando come si può ben capire una spirale crescente del debito estero.
      Tutti gli economisti sanno che i tassi troppo bassi sono estremamente nocivi per chi non se li può permettere. I tassi bassi richiedono un contesto adeguato. Ci sono degli studi pubblicati su riviste scientifiche che segnalavano già da anni la situazione critica della Grecia. Eppure le banche Tedesche e Francesi hanno continuato a piazzare il loro surplus...
      Ma di chi è la colpa di tutto questo? Dei Greci, delle famiglie Greche, o dei padri costruttori dell'euro, che sono andati avanti ignorando le regole economiche di base, alcuni perché visionari, indubbiamente, altri con delle mire ben precise. (Abbiamo venduto Terna e Snam , per ora..)
      E chi deve pagare, adesso? Non vedo nessun politico alla sbarra, vedo gente sul lastrico.
      In merito al tesoretto, ti ricordo che l'Italia ha sforato solo un anno dai (balordi) parametri di bilancio europei, preceduta dalla Germania, peraltro.
      Ma guarda Der Pilger che non si tratta di vittimismo, di dare la colpa agli altri, ecc, si tratta di rimettere la realtà al posto della manipolazione. La storiella delle cicale e delle formiche è uno schemetto facile da capire e conveniente: per i Tedeschi che non vogliono adesso pagare, dopo aver fatto man bassa nel periodo d'oro - e per gli Italiani dallo storico senso di inferiorità rispetto ai crucchi, alimentato naturalmente dalla coda di paglia per i nostri indubitabili vizi nazionali.
      Pregherei tutti di un maggiore equilibrio e aderenza alla realtà in questa triste vicenda Europea, perché c'è della gente che sta pagando, i nostri figli per primi.

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  10. a me sembra proprio che analisi di questo tipo vadano fuori dalla realta'. prima di tutto perche' si parla di "tedeschi" e "greci" quando non esistono tedeschi e greci esistono operai, pescatori, banchieri, speculatori, parrucchiere, panettieri, ecc..
    quando si dice che "i tedeschi" devono pagare perche' ne hanno approfittato (?) significa che lo stato sociale tedesco deve essere ridotto (c'e' un obbligo costituzionale a tagliare la spesa) e milioni di tedeschi rischiano di andare sotto il livello di poverta'. gia' ora alcune fasce di impiegati pubblici tedeschi ricorrono ai sussidi pur avendo un lavoro. Ora, chi va a spiegare a questi signori assieme a tutti gli altri che si ritrovano il finanzamt in casa se sgarrano con le tasse che sono loro i paperoni che stanno affamando la grecia? io abito a monaco di baviera, la citta' piu' ricca della germania, piena di miliardari, ma anche piena di gente normale che conta sullo stato sociale per la propria pensione, per la malattia e nel caso perda il lavoro. I miliardari tedeschi hanno gia' dichiarato che sono disposti a pagare piu' tasse ma agli altri glielo dici tu che sono degli egoisti perche' non vogliono pagare la pensione di chi si e' ritirato dal lavoro a 40 anni o pur avendo villa con piscina e' sconosciuto al fisco? il tedesco medio non legge analisi economiche, legge la bild e se gli va bene legge lo spiegel e legge questo: http://www.spiegel.de/international/europe/0,1518,709703,00.html
    e si chiede che senso abbia tutto cio'.
    dai dire che la germania e' la vera zavorra d'europa e' una scemata, poi magari quando avrai letto l'analisi un po' piu' reale di Limes ne riparleremo.

    Der Pilger

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  11. Der Pilger, forse è da poco che sei arrivato a leggere queste pagine, perché questo discorso, molto giusto, dove si critica la categoria "Tedeschi" o "Greci" considerati come un'unica entità è già scontato. Ricordo di aver pubblicato proprio un articolo di Varoufakis, mi sembra su Investireoggi, che parla di cicale greche e tedesche, così come formiche di entrambi i paesi...
    La nostra analisi non è così grossolana, su...
    E qui si dice che la Germania è a rimorchio, nel senso che non svolge quel ruolo trainante che come paese forte le spetterebbe per mantenere vitale l'unione, e che ha fatto il grosso del suo surplus estero con i partners europei. Concetto innegabile (per chi sa come funziona un'unione monetaria).
    Continua a leggerci, che probabilmente ti renderai conto che i nostri punti di vista non sono poi così diversi.
    E io domani mi faccio una lettura diagonale di Limes (magari in edicola, prima di spendere i 14, che ho diversi candidati in lista)...

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  12. Mi pare di cogliere alcune inesattezze nel post.

    La Germania ha sì perseguito una politica tesa a garantirle un surplus commerciale, ma mi pare un po' difficile attribuirle l'intenzione di arricchirsi a spese dei partner europei. Direi invece che la Germania ha inteso assicurarsi competitività su scala planetaria, e infatti vanta un surplus verso il complesso degli altri paesi di entità analoga a quello verso l'eurozona (e non capisco proprio tanta insistenza sulla Cina, che è solo UNO dei paesi del resto del mondo; non solo: nella tabella 1 si distingue inopinatamente tra "Europa" e "Europa meridionale", mentre la distinzione corretta mi sembra quella tra eurozona, che comprende anche l'Irlanda, e un'Europa non Uem che comprende anche i paesi dell'est).

    Tanto per chiarire, l'Italia aveva nel 1999 un buon surplus commerciale nonostante un piccolo deficit verso l'eurozona, ma è in deficit dal 2004; questo dipende anche dal maggior deficit verso l'eurozona (da -1 a -15 miliardi di euro), ma soprattutto dal ben più netto peggioramento dell'interscambio col resto del mondo (da +15, saliti a +18 nel 2002, a -14). Non mi pare avrebbe molto senso incolpare la Germania di quest'ultimo pesante peggioramento. Semplicemente la Germania (i cui surplus verso l'eurozona e il resto del mondo presentano andamenti molto simili, come si vede anche da un grafico del post) è riuscita a rimanere competitiva a livello globale, noi no. La Germania sarebbe in surplus anche se fosse in pareggio con l'eurozona, noi no. In altri termini, l'euro è sicuramente un problema per noi, ma certo non è il solo e forse nemmeno il più serio.

    Non mi pare esatto nemmeno parlare di movimenti di capitali mossi "dai colossi tedeschi della finanza", perché hanno giocato un ruolo di primo piano capitali non solo francesi, ma anche americani. Lo ricorda Sergio Cesaratto in un suo articolo (pag. 80, nota 3), rinviando al numero di settembre 2010 di Research on Money and Finance (pp. 9, 25, 29). Andrebbe spiegato, quindi, anche l'interesse USA per le vicende europee (compreso l'attivismo di Obama), e anche qui senza ridurre il resto del mondo alla sola Germania.

    Insomma, prima di assumere atteggiamenti che rischierebbero di risultare un po' parziali, potrebbe essere meglio... seguire il consiglio di Der Pilger ;-)

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  13. Caro Sergio,
    io rimango molto convinta dai dati forniti da Goofy, che mostra chiaramente come il surplus netto la Germania l'ha realizzata principalmente all'interno dell'EZ, e non verso il resto del mondo.
    Vedi http://goofynomics.blogspot.com/2012/02/reichlin-vs-tutti-ovvero-germany-vs.html
    Poi mi pare che i Tedeschi stessi abbiano espresso chiaramente in più occasioni di essere e volere un'economia export-led, quindi...perché dobbiamo negarlo proprio noi?
    Metti insieme la prima con la seconda, ed ecco la competizione Tedesca all'interno dell'eurozona. Padronissima la germania di farlo, ma stupidi (o illusi e collusi) noi periferici che ci siamo fatti incastrare.
    Comunque sulla posizione particolare dell'Italia, aspetto con curiosità di leggere i dati che ci mostrerà Bagnai, come promesso, ma penso che abbiano influito molto i redditi netti verso l'estero, ossia gli interessi sul debito che se ne volano via. Magari se ne riparla con i dati alla mano.
    Infine, mi pare un dato inevitabile che il surplus tedesco si sia tradotto in finanziamenti alla periferia. Del resto, lo stesso testo di ricerca di cui offri tu il link lo dice chiaramente:
    "current account deficits were financed overwhelmingly by bank lending from the core".

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  14. Sì certo, ma ci sono storie che i dati da soli non possono raccontare. L'Europa non è un tutto omogeneo e, tra le tante differenze tra i diversi paesi, ci sono gradi diversissimi di qualcosa che chiamerei "coesione". La Germania appartiene al gruppo dei paesi "coesi", ma non è la sola.

    Fin dall'inizio degli anni '50, in Svezia la Saf (federazione delle associazioni imprenditoriali) e la LO (che riuniva i sindacati dell'industria) si incontravano all'inizio delle negoziazioni salariali e definivano un accordo quadro che valeva come termine di riferimento per le negoziazioni di settore. In Olanda rappresentanti sindacali, imprenditoriali e del governo si riunivano nella Pbo (sistema di autoregolazione articolato per settori e guidato da un Consiglio Sociale ed Economico). In Norvegia c'erano consigli di pianificazioni e comitati per la produzione.

    Nel 1949 molti paesi svalutarono, ma la Germania, per l'opposizione dei francesi, poté farlo meno di quanto sarebbe stato necessario. Nel giro di un anno si trovò a dover chiedere un prestito internazionale per un serio deficit di conto corrente. La soluzione arrivò con le leggi di codeterminazione del 1951: i sindacati, raggruppati nella Dgb, accettavano aumenti salariali inferiori agli aumenti di produttività in cambio dell'impegno degli imprenditori a investire i maggiori profitti; la presenza dei sindacati nei consigli di sorveglianza delle imprese consentiva di verificare il rispetto dell'impegno. E quel prestito venne restituito in anticipo. Nacque così la competitività tedesca: espressamente assunta come obiettivo, raggiunta grazie alla coesione delle parti sociali e a un adeguato contesto istituzionale. Anche l'Austria si dette strumenti simili, mentre la Svezia aveva creato già nel 1949 il "Club del giovedì", un organismo in cui rappresentanti degli imprenditori, dei sindacati e del governo discutevano di come incrementare la produzione e le esportazioni.

    Molta acqua è passata sotto i ponti, ma non mi stupisce vedere che i paesi "coesi", restando tali, hanno affrontato meglio le tante crisi che si sono succedute.

    Mi pare istruttivo il confronto con il Regno Unito, forse l'estremo opposto. Era uscito dalla guerra con 1900 organizzazioni imprenditoriali e oltre 700 sindacati, di cui solo 186 affiliati al Trades Union Congress, e l'estrema frammentazione delle relazioni industriali ha vanificato tutti gli sforzi del periodo "keynesiano". Negli anni '70 la politica dei redditi di Heath naufragò per uno sciopero dei minatori, ma è solo un esempio tra tanti. Non è un caso che negli anni '70 l'inflazione sia arrivata al 16% nel Regno Unito, contro il 5-7% di Germania Austria e Olanda, né che vi fossero differenze analoghe nell'occupazione.

    Quanto all'Italia, c'è stato nel 1993 un vago tentativo di "concertazione" che non è riuscito ad avvicinarci neanche un po' al tipo di relazioni industriali dei paesi coesi. Il D.Lgs. 6/2003 ha provato perfino a introdurre i consigli di sorveglianza nel nostro ordinamento, ma se l'obiettivo era quello di seguire il modello tedesco è certo fallito. E ora abbiamo un Fiat uscita da Confindustria, un'unità sindacale che è solo un ricordo, una Fiom sempre più isolata... diventiamo, da questo punto di vista, sempre più "inglesi".

    La Germania è in surplus anche fuori dell'eurozona, noi no (andiamo invece sempre peggio). Temo dipenda in misura non trascurabile dal nostro procedere disordinatamente in ordine sparso, dalla nostra assoluta mancanza di "coesione", dalla conseguente incapacità di porci obiettivi condivisi e di raggiungerli.

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    1. Caro Sergio, benché molte delle tue argomentazioni siano senza dubbio ben documentate, a mio parere non incidono minimamente sulla persistenza degli squilibri esteri che sono stati approfonditi e aggravati dalla moneta comune. Comunque non voglio convincerti per forza, quindi... Ognuno legga e si faccia la propria idea.

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  15. Non riesco veramente a capire tutte queste polemiche sulla Germania cattiva padrona d'Europa e gli stati del sud Europa vittime di questo atteggiamento. Penso che sia fondamentale capire che uno dei requisiti alla base di un'area monetaria comune sia quello della mobilità dei fattori, in primis il lavoro. L'Euro è stato l'esperimento più estremo di una moneta comune per aree economiche (ma anche culture, lingue, mentalità,...) distanti; all'interno dell'area valgono le stesse regole macroeconomiche che ben sappiamo, se l'economia di certi Paesi non regge le persone devono spostarsi altrove per trovare opportunità lavorative pagate in modo equo e con adeguati standard di vita. Come le persone della Germania Est si sono spostate nell'Ovest, così dovrebbero farlo i greci, gli spagnoli, ecc. Non mi sembra giusto invece che molti di questi Paesi abbiano vissuto (e vogliano continuare a farlo) al di sopra delle proprie possibilità (quanti dirigenti pubblici ci sono in Sicilia?) facendo pagare questo peso agli Stati stessi che poi alla lunga vanno a chiedere aiuti all'Europa. La colpa del nostro debito pubblico è dei politici del passato (mmm..gli stessi di oggi a dire la verità) che con l'uso della spesa pubblica hanno esercitato il loro potere; senza debito pubblico non ci sarebbero problemi di spread, di recessione e di gente che fa fatica ad arrivare alla fine del mese. Certo che avere più auto blu che in tutti gli Stati Uniti è veramente bello...
    Christian

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