18/07/11

Il Deficit Democratico in Europa e la Crisi delle Periferie

Articolo da Macroresilience.com vecchio di un paio di settimane, ma sempre molto attuale nel momento in cui si parla di deficit democratico in Europa...

Indipendentemente da se e quando la Grecia andrà in default , è ormai chiaro che la zona euro affronta una crisi esistenziale. Le contraddizioni nell'area euro sono sintomo di un malessere molto più profondo e di una fragilità intrinseca del progetto politico europeo. Come fa notare Martin Kettle, anche gli europeisti più convinti ormai si chiedono apertamente se la stessa Unione europea è alla sua ultima tappa.

Al cuore dei problemi dell'Unione europea c'è un strutturale 'deficit democratico'. David Marquand arriva al cuore della questione nel suo eccellente libro sull'Europa - nel suo nucleo, l'Europa è sempre stata un'impresa tecnocratica volta a trascendere la
"clamorosa irrazionalità della vita politica", che ha bisogno del sostegno popolare, ma "diffida della partecipazione popolare ". Alla base di questo approccio vi era la "teoria che l'integrazione si sarebbe diffusa ineluttabilmente, a macchia d'olio, da un settore ad un altro ... .. Il fine era politico, ma i mezzi erano economici, ed i mezzi gradualmente hanno eclissato il fine." L'integrazione avrebbe dovuto diffondersi, irresistibilmente e irrevocabilmente, da un settore di politica economica ad un altro; non ci sarebbero state interruzioni nel processo, quando sarebbe stato il momento di chiedere il consenso popolare. Il successo economico, i fatti stessi - la libertà di mercato, le economie di scala, la rapida crescita, l'aumento degli standard di vita - sarebbero stati in grado di integrare il progetto nella cultura popolare. La legittimità sarebbe venuta da sè, con i fatti."

Ma, come osserva Marquand, questa visione economicista e tecnocratica, non trova un consenso democratico effettivo nei cittadini d'Europa. Con parole sue:
"Non si può rendere conto a istituzioni che non si capiscono, ed è difficile vedere come possono rappresentarci. E nessuno al di fuori di un piccolo gruppo di Euro-attori ed Euro-accademici capisce come funziona l'Unione europea. La politica nazionale spesso lascia perplessi i semplici cittadini, anche perché i governi nazionali sono impigliati in reti sempre più complesse di interdipendenza europea e mondiale. Ma i cittadini degli Stati membri dell'Unione, per lo più, hanno almeno una vaga idea di ciò che i partiti politici nazionali sostengono, e di chi sono i leaders nazionali e gli aspiranti leaders. Nell'espressione tradizionale, possono, se lo desiderano, "buttare fuori i mascalzoni." E vi è, almeno, un tenue collegamento tra i loro voti e le politiche che i loro governi perseguono. Niente di tutto questo è vero nella politica dell'Unione. Gli elettori alle elezioni europee non possono "buttare fuori i mascalzoni". Il collegamento tra i loro voti e le politiche dell'Unione non solo è debole, ma del tutto invisibile. Coloro che fanno parte degli organismi europei, in particolare, i funzionari della Commissione e del Consiglio, sono per lo più al di fuori della portata degli elettori europei e dei loro rappresentanti nel Parlamento europeo. Peggio ancora, non ci sono partiti politici a livello europeo che portino avanti un dibattito e possano offrire delle scelte a un elettorato europeo. Il voto dei cittadini europei alle elezioni europee , quando vanno a votare (e, come ho dimostrato nei capitoli precedenti, un numero sempre crescente non vota), va a punire o premiare i partiti politici nazionali, su piattaforme essenzialmente nazionali. E anche se il ruolo del Parlamento europeo nel processo legislativo dell'Unione è cresciuto enormemente negli ultimi anni, il processo stesso è labirintico e impenetrabile da parte dei non addetti ai lavori .... "

Oltre ad una crescente apatia (come segnalato dalla bassa affluenza alle urne alle elezioni del Parlamento europeo), la chiara incapacità di influenzare gli esiti politici attraverso il processo democratico apre la porta ad opzioni più radicali. Non è un caso che tante proteste e movimenti in Grecia, Spagna, Irlanda e Francia, si sono concentrati sul tema comune di chiedere più democrazia diretta e locale. Sebbene la maggior parte di queste proteste sono state vicine a un atteggiamento politico decisamente di sinistra, molti euroscettici di destra condividono l'enfasi su una democrazia più diretta. Questa radicalizzazione in risposta alla percezione di una perdita della partecipazione democratica è facilmente comprensibile se vista nel contesto della storia dei diritti democratici e del suffragio universale. Come Albert Hirschman ha sottolineato nel suo libro ‘Shifting Involvements: Private Interest and Public Action’, l'introduzione del suffragio universale ha delegittimato in modo efficace l'azione politica rivoluzionaria. Nelle sue parole:

"quando il voto è stato concesso al popolo di Francia, e in particolare a quel popolo rumoroso, indisciplinato, e impulsivo di Parigi, che aveva appena fatto la terza rivoluzione in due generazioni, è stato considerato in effetti come l'unica forma legittima di esprimere opinioni politiche . In altre parole, il voto ha rappresentato un nuovo diritto del popolo, ma ha anche limitato la sua partecipazione alla politica a questa forma particolare e relativamente innocua. E' stato un mezzo per controbilanciare la perpetua avanguardia parigina tendente all'azione diretta, con lo stato d'animo molto più tradizionale e rispettoso della legge delle province. Questa interpretazione del suffragio universale come contenitiva e conservatrice, nei fatti anche se non, ovviamente, nelle intenzioni, è suggerita dal risultato conservatore delle elezioni di aprile 1848 per la Assemblea Costituente Nazionale e, più importante, per la forza morale e la pretesa di legittimità che questo corpo appena eletto fu in grado di rappresentare contro gli insorti del giugno 1848. Se l'insurrezione è giustificata in assenza di elezioni libere e generali, come sosteneva l'opinione repubblicana a quei tempi, allora in contropartita, l'impianto del suffragio universale potrebbe essere considerato un antidoto al cambiamento rivoluzionario. Questo era infatti il modo in cui vdevano la questione i repubblicani più conservatori subito dopo la rivoluzione di febbraio, e l'idea è ben espressa nel motto contemporaneo "il suffragio universale chiude l'era delle rivoluzioni".

Hirschman cita il discorso implorante di Gambetta ai suoi compagni conservatori in difesa del suffragio universale, che coglie perfettamente questa logica:

"Mi rivolgo a coloro tra i conservatori che hanno una certa preoccupazione per la stabilità, una certa preoccupazione per la legalità, una certa preoccupazione per la moderazione ... nella vita pubblica. A loro dico: Come avete potuto non vedere che con il suffragio universale, a patto di lasciarlo operare liberamente e di rispettare, una volta che si è espresso, la sua indipendenza e l'autorità delle sue decisioni - come si fa a non vedere, mi chiedo, che avete qui un mezzo per porre fine pacificamente a tutti i conflitti, e risolvere tutte le crisi? Come potete non capire che, se il suffragio universale funziona nella pienezza della sua sovranità, la rivoluzione non è più possibile, perché non potrà essere più tentata nessuna rivoluzione e nessun colpo di Stato, una volta che la Francia si è espressa?"

E' nella periferia travagliata della zona euro che questa carenza strutturale ha raggiunto un punto di ebollizione, aggravato dalla partecipazione del FMI , ancor meno democraticamente responsabile. Come osserva il Guardian: "I politici dell'eurozona troppo spesso considerano la responsabilità democratica come un lusso, piuttosto che una necessità, come risulta chiaramente questa settimana, quando Bruxelles costringerà il parlamento di Atene a passare una serie di tagli alla spesa, aumenti delle tasse e privatizzazioni - nonostante l'ostilità degli elettori greci". Per gran parte della classe media in Grecia, emigrare è una scelta costosa, dato che non possiedono significative attività finanziarie che possono essere facilmente trasferite fuori del paese. Come Hirschman ha previsto, l'assenza di un'opzione di uscita praticabile combinata con la sterilizzazione della voce democratica fa sì che l'azione rivoluzionaria sia l'unica opzione possibile per molti cittadini greci.

La classe media greca si sente schiacciata a causa di ciò che essi percepiscono come l'onere iniquo della tassazione imposta su di loro, imprenditori o lavoratori autonomi. Anche se è del tutto possibile che questa sia semplicemente una questione di clientelismo e corruzione, tassare coloro che sono meno in grado di portar fuori le loro attività dal paese è la via più facile, anche in assenza di clientelismo. In un'economia globalizzata, con libera circolazione dei capitali, le economie periferiche non sono in grado di tassare quei settori della popolazione che minacciano in modo credibile di portare all'estero le attività. L'obiettivo di un aumento delle tasse su coloro che sono meno in grado di farlo, anche se è una politica regressiva, rimane quindi la cosa più logica.

In un mondo in cui la fuga dei capitali è un'opzione per una elite selezionata, la disuguaglianza sociale, invece di essere alleviata dalla politica del governo, ne è quasi sempre aggravata. Anche la tassazione in teoria più progressiva si traduce nella pratica in un regime regressivo Come osserva Hirschman (sottolineatura mia):

"Esistono molti tipi di mobilità: le multinazionali possono dislocare le loro filiali da un paese, considerato non sicuro, verso un altro; più minacciosamente, la mobilità può assumere la forma di banche internazionali che rifiutano di "rinnovare" i loro prestiti a un paese che è considerato "fuori linea". Eppure, l'arma principale è esercitata dai cittadini del paese - in particolare, naturalmente, da quelli più ricchi – nella misura in cui si impegnano in fughe di capitali su scala massiccia quando si sentono minacciati dagli sviluppi interni.
Occasionalmente queste uscite si verificano, nello scenario del 18 ° secolo, in risposta alle azioni arbitrarie e capricciose del sovrano.
Ma una interpretazione molto meno favorevole potrebbe essere questa: l'uscita dei capitali avviene spesso nei paesi che intendono introdurre alcune imposte per frenare gli eccessivi privilegi dei ricchi o alcune riforme sociali progettate per distribuire i frutti della crescita economica più equamente. In queste condizioni, i capitali in fuga sono destinati a parare, combattere, e forse mettere un veto a tali riforme, e qualunque sia l'esito, sicuramente rendono le riforme più onerose e difficili. Sembra, dunque, come se la possibilità di questo tipo di mobilità, favorita da Montesquieu e Adam Smith, oggi sia una seria minaccia: danneggia la capacità del capitalismo di riformare se stesso.

Il punto di vista semplicistico democratico e liberale che l'Europa è immune al tipo di moti rivoluzionari che abbiamo visto nei paesi arabi questa primavera è sbagliato - non sono solo le dittature che portano a espressioni violente di rabbia popolare. L'elettorato ha bisogno di credere che il loro voto conta e che le decisioni che influiscono sulla loro vita sono prese da un governo che è responsabile verso di loro.
Chiaramente questo non è più così nell'UE. E questo disincanto sul voto come meccanismo di espressione significa che i cittadini europei possono scegliere mezzi molto più radicali per esprimere la loro frustrazione.



2 commenti:

  1. Parte finale giusta, ma credere all'Europa politica è una sciocchezza, non vi è mai stata e mai vi sarà.
    Saluti.
    Orazio

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  2. Ecco il punto focale della famigerata globalizzazione:
    "L'obiettivo di un aumento delle tasse su coloro che sono meno in grado di farlo, anche se è una politica regressiva, rimane quindi la cosa più logica.

    In un mondo in cui la fuga dei capitali è un'opzione per una elite selezionata, la disuguaglianza sociale, invece di essere alleviata dalla politica del governo, ne è quasi sempre aggravata."
    Sembra studiato a posta, a tavolino, per portare, instabilità, iniquità, fuga dei capitali e delle imprese, a tutto vantaggio del Capitalismo selvaggio e feroce, che se ne infischia dei popoli e delle nazioni, che vadano anche in malora ed in fallimento, conta solo il profitto, sopra a tutto e a dispetto di tutto, questo è il solo idolo e non ne esistono altri. E chi crede che questo sia un idolo falso e bugiardo, oltre che diabolico, viene etichettato come eretico, eversivo, estremista, e cose di questo genere.
    Ma quando le conseguente deleterie della globalizzazione, e del liberismo senza regole, colpiranno anche la Germania e gli altri grandi del G7 mondiale(perchè queste conseguenze arriveranno anche a loro, più tardi naturalmente, ma vi arriveranno, perchè neanche i "virtuosi" ne potranno rimanere immuni), allora finalmente si apriranno gli occhi e la mente, anche della gente comune, che ancora crede alla bontà di tali deliri, un pò come molti popoli hanno creduto in passato alla bontà dei comunismi, dei nazismi, dei fascismi, salvo poi scoprire molto tardi, quale era il vero volto mostruoso, che si celava, dietro alle maschere di tali ideologie che si autoproclamavano essere il bene supremo e assoluto.

    un saluto, Nicola.

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