30/01/11

Non vogliamo altro dall'America che essere lasciati soli

Dal sito english di Al Jazeera, l'intervista via Skype di Mark LeVine, professore di Storia e studioso del Medio Oriente,  con Hossam El- Hamalawy, blogger del sito www.arabawy.org  -  Un racconto di prima mano degli eventi che stanno accadendo in Egitto. 


 Buona lettura:


 Mark LeVine: Perché c'è voluta una rivoluzione in Tunisia per far uscire nelle strade una massa di Egiziani senza precedenti?


Hossam El-Hamalawy: Qui in Egitto diciamo che Tunisi è stata più o meno un catalizzatore, non l'istigatore, perché in Egitto le condizioni obiettive per una rivolta esistevano già, e la sommossa era già nell'aria in questi ultimi anni. Effettivamente, abbiamo avuto 2 mini-intifada o "mini Tunisia" nel 2008. La prima è stata la rivolta dell'aprile 2008 a Mahalla, seguita da un'altra a Borollos, nel Nord del paese.

Le rivoluzioni non spuntano fuori dal nulla. Non è a causa di ciò che accade in Tunisia un giorno che meccanicamente si ha la rivolta in Egitto il giorno dopo. Queste proteste non possono essere isolate dagli ultimi quattro anni di scioperi, o da eventi internazionali quali l'Intifada di Al-Aqsa e l'invasione dell'Irak da parte degli Stati Uniti. Lo scoppio dell'Intifada di Al-Aqsa è stato particolarmente importante perché nel 1980-90, l'attivismo nelle strade è stato efficacemente represso dal governo come parte della lotta contro i rivoltosi islamici. Ha continuato ad esistere soltanto all'interno dei campus universitari o delle sedi di partito. Ma quando l'Intifada è scoppiata nel 2000 ed Al Jazeera ha iniziato a diffonderne le immagini, ha ispirato la nostra gioventù a scendere nelle strade, nello stesso modo come oggi siamo stati ispirati dalla Tunisia.

Mark LeVine: Come si stanno evolvendo le proteste?

Hossam E-Hamalawy : E' troppo presto per dirlo. E' un miracolo che stiano continuando dopo la mezzanotte di ieri, la paura e la repressione. Ma detto questo, la situazione ha raggiunto un punto che tutti sono esasperati, seriamente esasperati. Ed anche se le forze di sicurezza riescono a sedare le proteste oggi, non riusciranno a reprimere quelle che accadranno la settimana prossima, o il mese prossimo o alla fine di quest'anno. C'è un definitivo cambiamento nel livello di coraggio della gente. Con la scusa di combattere il terrorismo, negli anni '90 lo Stato aveva combattuto ogni specie di dissenso nel paese, trucco usato da tutti i governi, compresi gli Stati Uniti. Ma una volta che l'opposizione ad un regime passa dalle pistole alle proteste di massa, è molto difficile affrontare questo dissenso. Potete pensare di eliminare un gruppo di terroristi che combattono nei campi della canna da zucchero, ma che cosa potete fare con migliaia di dimostranti sulle strade? Non li potete uccidere tutti. Non potete nemmeno avere la garnzia che le truppe lo faranno, che spareranno sui poveri.

Mark LeVine: Che rapporto c'è fra gli eventi regionali e quelli locali ?

Hossam El-Hamalawy: Dovete capire che qui il regionale è anche locale. Nel 2000 le proteste non sono iniziate come protesta contro il regime, ma piuttosto contro Israele ed a sostegno dei Palestinesi. Lo stesso si è verificato con l'invasione dell'Irak da parte degli Stati Uniti tre anni dopo. Ma una volta che la gente scende nelle strade e deve affrontare la violenza del regime comincia a farsi delle domande: perché Mubarak manda le truppe contro i dimostranti invece che contro Israele? Perché esporta il cemento in Israele che lo usa per incrementare gli insediamenti, anziché aiutare i Palestinesi? Perché la polizia è così brutale con noi quando stiamo solo esprimendo la nostra solidarietà con i Palestinesi in un modo pacifico? E così le questioni regionali come Israele e l'Irak diventano problemi locali. E in questi momenti, gli stessi dimostranti che scandivano gli slogans a favore dei Palestinesi cominciano a gridare contro Mubarak. La specifica svolta in termini di proteste si è avuta nel 2004, quando il dissenso è diventato interno.

Mark LeVine: In Tunisia i sindacati hanno svolto un ruolo cruciale nella rivoluzione, perché il gran numero di iscritti e la loro disciplina hanno fatto in modo che che le proteste non potessero essere facilmente stroncate ed ha fornito un supporto organizzativo. Qual'è il ruolo del movimento sindacale nelle attuali rivolte in Egitto?

HossamEl-Hamalawy: Il movimento sindacale egiziano è stato abbastanza sotto attacco negli anni '80 e '90 da parte della polizia, che ha utilizzato le armi contro scioperi pacifici nel 1989 nelle acciaierie e nel 1994 nel settore tessile. Ma dal dicembre 2006 il nostro paese sta testimoniando la più grande e continua ondata di scioperi dal 1946, innescate dagli scioperi del tessile nella città di Mahalla sul delta del Nilo, il più grande insediamento di forze di lavoro nel Medio Oriente, con oltre 28.000 operai. E' cominciata per le condizioni di lavoro, ma poi si è estesa ad ogni settore nella società, tranne la polizia e le forze armate.

Come conseguenza di questi scioperi siamo riusciti ad ottenere 2 sindacati indipendenti, i primi del loro genere dal 1957, che comprendono più di 40.000 funzionari ed operatori sanitari, più di 30.000 dei quali appena il mese scorso hanno costituito un nuovo sindacato al di fuori dei sindacati controllati dallo stato. Ma è vero che una differenza fondamentale fra noi e la Tunisia è che, anche se era una dittatura, la Tunisia aveva una federazione sindacale semi-indipendente. Anche se i capi collaboravano con il regime, la base era formata da sindacalisti militanti. Così quando è venuto il momento degli scioperi generali, i sindacati hanno potuto mettersi insieme. Ma qui in Egitto abbiamo un vuoto che speriamo di colmare presto. I sindacalisti indipendenti sono stati oggetto di una caccia alle streghe sin da quando hanno cercato di costituirsi; ci sono già delle cause contro di loro intentate dallo Stato e dai sindacati goveernativi, ma stanno diventando sempre più forti malgrado i continui tentativi di farli tacere.

Naturalmente, negli ultimi giorni la repressione si è diretta contro i dimostranti nelle strade, che non sono necessariamente dei sindacalisti. Queste proteste hanno coinvolto un'ampia fascia di popolazione, compresi i figli e le figlie dell'élite. Così abbiamo una combinazione di gioventù urbana povera e di classe media, con figli e figlie dell'élite.

Penso che Mubarak sia riuscito ad alienarsi tutti i settori della società tranne la sua ristretta cerchia di amici.

Mark LeVine: La rivoluzione tunisina è stata descritta come un movimento a guida "giovanile" - legata alle tecnologia dei social networks come Facebook e Twitter. Ed ora la gente sta mettendo a fuoco che anche in Egitto la gioventù è un importante catalizzatore degli eventi. Si tratta di una "intifada" giovanile, e potrebbe succedere anche se non ci fosse Facebook e le altre nuove tecnologie dei mezzi d'informazione?

Hossam El-Hamalawy: Sì, è un'intifada giovanile. Internet svolge soltanto un ruolo nella diffusione delle parole e delle immagini, di quello che sta succedendo. Non usiamo Internet per organizzare. Usiamo Internet per divulgare quello che stiamo facendo sul campo, e speriamo di ispirare altri all'azione.

Mark LeVine: Come forse hai sentito dire, negli Stati Uniti il presentatore di un talk show di destra, Glenn Beck, ha orchestrato una campagna contro un' anziana accademica, Frances Fox Piven, a causa di un articolo da lei scritto in cui invitava i disoccupati a organizzare proteste di massa per il lavoro. Ha ricevuto persino delle minacce di morte, alcune dagli stessi disoccupati, che sembrano preferire farsi delle fantasie omicide nei suoi confronti con una delle loro numerose pistole, piuttosto che combattere realmente per i loro diritti. Stupisce pensare al ruolo cruciale dei sindacati nel mondo arabo oggi dopo più di due decenni di regime neoliberista nella regione il cui obiettivo primario era quello di distruggere la solidarietà della classe lavoratrice. Perché i sindacati sono rimasti così importanti?

Hossam El-Hamalawy: I sindacati sempre si sono rivelati essere la pallottola d'argento per qualsiasi dittatura. Guardi la Polonia, il Sud Corea, l'America Latina e la Tunisia. I sindacati sono sempre stati lo strumento della mobilitazione di massa. Ci vuole uno sciopero generale per rovesciare una dittatura, e non c'è niente di meglio di un sindacato indipendente per farlo.

Mark LeVine: C'è un più vasto programma ideologico dietro le proteste, o solo spodestare Mubarak?

Hossam El-Hamalawy: Ognuno ha i suoi motivi per scendere in strada, ma io credo che se la nostra rivolta avrà successo e Mubarak sarà rovesciato cominceranno le divisioni. I poveri vorranno spingere la rivoluzione verso posizioni molto più radicali, per la ridistribuzione radicale della ricchezza e contro la corruzione, mentre i cosiddetti riformatori vogliono aprirsi un varco per entrare nella stanza dei bottoni e mettere un freno ai poteri dello Stato, ma sostanzialmente mantenere l'essenza dello Stato. Ma ancora non ci siamo.

Mark LeVine: Qual'è il ruolo della Fratellanza Musulmana, e come il suo rimanere distante dalle proteste inciderà sulla situazione?

Hossam El-Hamalawy: La Fratellanza ha sofferto delle divisioni dopo lo scoppio dell'intifada di Al-Aqsa. La sua partecipazione al Movimento Palestinese di Solidarietà quando è venuto a confrontarsi col regime è stata enorme. In fondo, ogni volta che i vertici fanno un compromesso con il regime, particolarmente la più recente leadership dell'attuale guida suprema, la loro base si demoralizza. Conosco personalmente molti giovani fratelli che hanno lasciato il gruppo, alcuni di loro si sono uniti ad altri gruppi, altri sono rimasti indipendenti. Come cresce il movimento nelle strade e la base viene coinvolta, ci saranno più divisioni perché il vertice non potrà giustificare di non essere stato parte della rivolta.

Mark LeVine: E cosa mi dici sul ruolo degli Stati Uniti in questo conflitto. La gente nelle strade come vede la sua posizione?

Hossam El-Hamalawy: Mubarak è il secondo maggior destinatario degli aiuti all'estero degli Stati Uniti, dopo Israele. E' conosciuto per essere il bandito dell'America nella regione; uno degli strumenti della politica estera americana per attuare l'ordine del giorno della sicurezza per Israele e della regolarità nel flusso di petrolio, mantenendo i Palestinesi sotto controllo. Così non è un segreto che questa dittatura ha goduto della protezione degli Stati Uniti sin dal primo giorno, persino durante la retorica fasulla di Bush a favore della democrazia. E non si dovrebbe essere sorpresi dalle ridicole dichiarazioni di Clinton che stavano più o meno difendendo il regime di Mubarak, dato che uno dei pilastri della politica estera americana è quello di mantenere i regimi politici stabili anche a spese della libertà e dei diritti civili.

Non ci aspettiamo niente da Obama, che consideriamo un grande ipocrita. Ma speriamo e ci aspettiamo che gli americani - sindacati, associazioni di insegnanti e studenti, gruppi di attivisti - manifestino il loro sostegno. Ciò che vogliamo dal governo americano è di uscire completamente dalla scena. Non vogliamo nessun tipo di appoggio; solo tagliare subito gli aiuti a Mubarak e ritirargli il sostegno, ritirarsi da tutte le basi in Medio Oriente, e smettere di sostenere lo Stato di Israele.

Alla fine, Mubarak farà quello che deve fare per proteggere se stesso. Da un giorno all'altro adotterà la più grande retorica anti-americana, se penserà che possa tornargli utile per salvare la pelle. Alla fin fine, lui fa i suoi interessi, e se pensa che gli USA gli volteranno le spalle, si rivolgerà a qualcun altro. La realtà è che qualsiasi governo veramente pulito che salga al potere nella regione entrerà in conflitto aperto con gli USA, perché proclamerà una radicale redistribuzione della ricchezza e la fine del sostegno a Israele e alle altre dittature. Quindi non vogliamo altro dall'America che essere lasciati soli.



 

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